Farley è consapevole di una macchia sfocata nel suo occhio destro. Come un pallina di luce nel buio. Si riempie e poi si svuota. Ogni minuto, come se possedesse una piccola cisterna dentro la sua testa. Una macchia che va e che viene. Si arrischia a pronunciare un paio di parole: ciao, poi macchia. Ci prova di nuovo; niente. Quindi comincia a passare al vaglio la situazione.
Non è un romanzo rivoluzionario, che apre nuovi orizzonti. Non parla del Cambiamento Climatico, o di Grandi Epidemie, o di Lotte Sociali. Non usa la scrittura per mostrare quanto sia intelligente, e colto, e tecnicamente capace l'autore. Semplicemente intelligenza, cultura e tecnica sono utilizzate per raccontarci al meglio quello che in fondo ogni romanzo avrebbe il dovere minimo di raccontarci: la vita di una persona. E attraverso quella persona, come fosse un buco della serratura, la vita di tante altre persone, di una comunità, di una città, di... fate voi.
La letteratura irlandese è piena di ottimi narratori. Christine Dwyer Hickey è, senza dubbio, una tra i migliori.
Christine Dwyer Hickey - Farley - trad. Sabrina Campolongo - 2012 - Paginauno 2019
Non è un romanzo rivoluzionario, che apre nuovi orizzonti. Non parla del Cambiamento Climatico, o di Grandi Epidemie, o di Lotte Sociali. Non usa la scrittura per mostrare quanto sia intelligente, e colto, e tecnicamente capace l'autore. Semplicemente intelligenza, cultura e tecnica sono utilizzate per raccontarci al meglio quello che in fondo ogni romanzo avrebbe il dovere minimo di raccontarci: la vita di una persona. E attraverso quella persona, come fosse un buco della serratura, la vita di tante altre persone, di una comunità, di una città, di... fate voi.
La letteratura irlandese è piena di ottimi narratori. Christine Dwyer Hickey è, senza dubbio, una tra i migliori.
Christine Dwyer Hickey - Farley - trad. Sabrina Campolongo - 2012 - Paginauno 2019
Io temo l'odore dei salici, amo quello delle querce; riconosco i passi di Luchino sulle foglie.
Già in questo incipit emerge l'essenza di Sandro Campani. La sua capacità di cogliere la natura nei suoi scampoli, non quella estrema delle grandi vette o degli oceani ma quella del bosco dietro casa, del laghetto coi suoi piastroni su cui stendersi, delle forre umide ridotte a discarica abusiva di elettrodomestici arrugginiti. La sua visione dei personaggi dall'interno, come se diventassimo tutti noi quel personaggio nel momento in cui entra in scena; senza bisogno di descriverlo, ma descrivendolo indirettamente attraverso le cose che pensa, gli oggetti che vede, le persone che gli mancano o che gli sono di troppo. Il ritmo della sua frase, apparentemente naturale eppure calibratissimo, dove anche il quasi desueto punto e virgola torna al suo ruolo di perno fra le due braccia di un periodo.
Questo romanzo racconta, da dentro, la piccola epopea di un piccolo taglio del bosco. Pur nelle enormi differenze, qualcosa che lo accomuna a quel Cassola c'è: una sorta di compresenza olistica tra i sentimenti umani e la forza misteriosa degli alberi, dell'erba, della terra. Ci sono alcuni personaggi che ruotano vorticosamente intorno a un'assenza, quella del Luchino che giustamente già non-appare nella prima frase. Mentre procedono al taglio, è come se stessero cercando di avvicinarsi a quell'assenza, nei ricordi, nelle attese, nelle speranze, per stringerla tra le dita almeno una volta, una prima volta, un'ultima volta.
Riuscendo a diluire la progressione della storia nel vissuto dei suoi protagonisti, con una sensibilità finissima e uno sguardo acuto che arriva fino alle zone più scure di noi, Campani ci regala il libro forse più maturo tra quelli pubblicati fin qui. E sono tutti tasselli di un progetto coerente, una sorta di Grande Romanzo della provincia appenninica che a poco a poco sta prendendo forma.
Sandro Campani - I passi nel bosco - Einaudi 2020
Già in questo incipit emerge l'essenza di Sandro Campani. La sua capacità di cogliere la natura nei suoi scampoli, non quella estrema delle grandi vette o degli oceani ma quella del bosco dietro casa, del laghetto coi suoi piastroni su cui stendersi, delle forre umide ridotte a discarica abusiva di elettrodomestici arrugginiti. La sua visione dei personaggi dall'interno, come se diventassimo tutti noi quel personaggio nel momento in cui entra in scena; senza bisogno di descriverlo, ma descrivendolo indirettamente attraverso le cose che pensa, gli oggetti che vede, le persone che gli mancano o che gli sono di troppo. Il ritmo della sua frase, apparentemente naturale eppure calibratissimo, dove anche il quasi desueto punto e virgola torna al suo ruolo di perno fra le due braccia di un periodo.
Questo romanzo racconta, da dentro, la piccola epopea di un piccolo taglio del bosco. Pur nelle enormi differenze, qualcosa che lo accomuna a quel Cassola c'è: una sorta di compresenza olistica tra i sentimenti umani e la forza misteriosa degli alberi, dell'erba, della terra. Ci sono alcuni personaggi che ruotano vorticosamente intorno a un'assenza, quella del Luchino che giustamente già non-appare nella prima frase. Mentre procedono al taglio, è come se stessero cercando di avvicinarsi a quell'assenza, nei ricordi, nelle attese, nelle speranze, per stringerla tra le dita almeno una volta, una prima volta, un'ultima volta.
Riuscendo a diluire la progressione della storia nel vissuto dei suoi protagonisti, con una sensibilità finissima e uno sguardo acuto che arriva fino alle zone più scure di noi, Campani ci regala il libro forse più maturo tra quelli pubblicati fin qui. E sono tutti tasselli di un progetto coerente, una sorta di Grande Romanzo della provincia appenninica che a poco a poco sta prendendo forma.
Sandro Campani - I passi nel bosco - Einaudi 2020
All'inizio dell'estate del 2003, insieme a mia moglie, intrapresi un viaggio in Sudtirolo, fino al Brennero, per cercare il bunker nel quale cinquantasei anni prima mio padre era stato trovato morto.
Claudio Magris ha definito questo libro come "un piccolo gioiello". Io toglierei la parola "piccolo". E' una ricostruzione leggera e profonda di un tempo, di un luogo e di una persona. Il tempo è quello che va dai primi anni del secolo alla fine della Seconda guerra mondiale. Il luogo è, principalmente, quello che oggi sta a cavallo tra Austria e Slovenia, e che un tempo era una zona dell'Impero Austro-ungarico caratterizzata da compresenza di comunità slovene e comunità tedesche. La persona è il padre dell'autore, membro delle SS e ufficiale della Gestapo. Ho imparato molte cose, leggendo questo libro. Una per esempio è che il nazismo non è nato soltanto come reazione alla crisi economica della Germania dopo la Prima guerra mondiale, ma anche come naturale sviluppo di un pangermanesimo molto presente, e molto forte, e molto antisemita, già diversi decenni prima della fine dell'Ottocento. Un'altra è che anche nell'universo ossessivo e superburocratico della macchina bellica nazista, gli uomini e le donne continuavano a innamorarsi, a rompere famiglie, a ricomporle, come se fossero in un'arcadia dorata. E ancora: che puoi essere uno storico di professione, fare ricerche di anni negli archivi e sul campo, ma al fondo di certi interrogativi, di certe ambiguità, non arriverai mai, ti dovrai arrestare sempre un passo prima. E ancora: che puoi amare e odiare tuo nonno perché ti parlava degli orsi e dei lupi mentre si era iscritto alle SS. E ancora... Insomma: Il morto nel bunker è uno di quei libri che ti accompagnano per un tratto di strada e poi non dimentichi più.
Martin Pollack - Il morto nel bunker - Indagine su mio padre - trad. Luca Vitali - 2004 - Keller Editore 2018
Claudio Magris ha definito questo libro come "un piccolo gioiello". Io toglierei la parola "piccolo". E' una ricostruzione leggera e profonda di un tempo, di un luogo e di una persona. Il tempo è quello che va dai primi anni del secolo alla fine della Seconda guerra mondiale. Il luogo è, principalmente, quello che oggi sta a cavallo tra Austria e Slovenia, e che un tempo era una zona dell'Impero Austro-ungarico caratterizzata da compresenza di comunità slovene e comunità tedesche. La persona è il padre dell'autore, membro delle SS e ufficiale della Gestapo. Ho imparato molte cose, leggendo questo libro. Una per esempio è che il nazismo non è nato soltanto come reazione alla crisi economica della Germania dopo la Prima guerra mondiale, ma anche come naturale sviluppo di un pangermanesimo molto presente, e molto forte, e molto antisemita, già diversi decenni prima della fine dell'Ottocento. Un'altra è che anche nell'universo ossessivo e superburocratico della macchina bellica nazista, gli uomini e le donne continuavano a innamorarsi, a rompere famiglie, a ricomporle, come se fossero in un'arcadia dorata. E ancora: che puoi essere uno storico di professione, fare ricerche di anni negli archivi e sul campo, ma al fondo di certi interrogativi, di certe ambiguità, non arriverai mai, ti dovrai arrestare sempre un passo prima. E ancora: che puoi amare e odiare tuo nonno perché ti parlava degli orsi e dei lupi mentre si era iscritto alle SS. E ancora... Insomma: Il morto nel bunker è uno di quei libri che ti accompagnano per un tratto di strada e poi non dimentichi più.
Martin Pollack - Il morto nel bunker - Indagine su mio padre - trad. Luca Vitali - 2004 - Keller Editore 2018
Quando ci ha aperto, il Greco non ha mosso un muscolo.
Comincia così, come un noir, l'ultimo romanzo di Bruno Arpaia. Ma non è esattamente un noir. E' una spy-story. Ma non solo. E' la ricerca faticosa, piena di pause e di ripensamenti, di un'ipotesi storica intrigante su come potrebbero essere andate le cose qui in Italia, nel settore della ricerca tecnologica avanzata, nella prima metà degli anni '60. Sul perché quella ricerca (Olivetti, Eni, Cnen, Iss; con i loro esponenti Mario Tchou, Enrico Mattei, Felice Ippolito, Domenico Marotta) si sia bruscamente interrotta. Brutalmente interrotta. Con incidenti d'auto, aerei esplosi in volo, inchieste opache, processi infiniti. E' la vicenda di uno scrittore che ha individuato l'osso ma non riesce mai ad azzannarlo fino in fondo. E' la storia di un atto di creatività che proprio quando sembra sul punto di implodere trova la forza, quasi malgrado e oltre le energie dell'autore, per arrivare al traguardo. Ci sono parti più saggistiche e parti più propriamente narrative. Capita di desiderare le une mentre stai leggendo le altre. E forse questo, che a prima vista potrebbe essere un piccolo neo nella tenuta ritmica del libro, ne costituisce il pregio maggiore: come evocato dal titolo spesso i fatti - anche quelli della pagina scritta - si esprimono attraverso i loro fantasmi, attraverso quello che c'era, che ci sarà, che ci potrebbe essere.
Bruno Arpaia - Il fantasma dei fatti - Guanda 2020
Comincia così, come un noir, l'ultimo romanzo di Bruno Arpaia. Ma non è esattamente un noir. E' una spy-story. Ma non solo. E' la ricerca faticosa, piena di pause e di ripensamenti, di un'ipotesi storica intrigante su come potrebbero essere andate le cose qui in Italia, nel settore della ricerca tecnologica avanzata, nella prima metà degli anni '60. Sul perché quella ricerca (Olivetti, Eni, Cnen, Iss; con i loro esponenti Mario Tchou, Enrico Mattei, Felice Ippolito, Domenico Marotta) si sia bruscamente interrotta. Brutalmente interrotta. Con incidenti d'auto, aerei esplosi in volo, inchieste opache, processi infiniti. E' la vicenda di uno scrittore che ha individuato l'osso ma non riesce mai ad azzannarlo fino in fondo. E' la storia di un atto di creatività che proprio quando sembra sul punto di implodere trova la forza, quasi malgrado e oltre le energie dell'autore, per arrivare al traguardo. Ci sono parti più saggistiche e parti più propriamente narrative. Capita di desiderare le une mentre stai leggendo le altre. E forse questo, che a prima vista potrebbe essere un piccolo neo nella tenuta ritmica del libro, ne costituisce il pregio maggiore: come evocato dal titolo spesso i fatti - anche quelli della pagina scritta - si esprimono attraverso i loro fantasmi, attraverso quello che c'era, che ci sarà, che ci potrebbe essere.
Bruno Arpaia - Il fantasma dei fatti - Guanda 2020
Questo libro non parla di come eri tu, ma di ciò che vediamo quando guardiamo indietro.
Una donna che fin da giovane ha nella testa l'idea di scrivere un libro sul passato della propria famiglia, del proprio paese, la Russia. Per raccontare cosa? Non tanto e non solo le storie dei propri avi, considerandole rappresentative di qualcosa di più grande. Quanto l'effetto che l'immersione in quelle storie, in quelle vicende, ha su di noi, che ci immergiamo direttamente (la scrittrice) o indirettamente (i lettori) in quel magma che ci ha preceduto. Per arrivare alla consapevolezza un limite invalicabile che ci impedisce di uscire dal qui e ora e di riuscire a vedere, a capire davvero un altro tempo, un altro luogo. E proprio nell'accettazione di quel limite, però, c'è uno scatto della coscienza, una comprensione più profonda, seppure incompleta, di ciò che sono stati gli altri, prima di noi. E di ciò che siamo noi oggi, prima di quelli che ci seguiranno.
Un libro che non è un romanzo e non è una riflessione, ma ha dentro di sé qualcosa di entrambe queste forme letterarie. Un grande libro sulle possibilità di espansione e definizione della nostra identità di persone. Anche se non siamo russi. Anche se non siamo scrittori eccellenti come lo è la Stepanova.
Marija Stepanova - Memoria della memoria - trad. Emanuela Bonacorsi - 2017 - Bompiani 2020
Una donna che fin da giovane ha nella testa l'idea di scrivere un libro sul passato della propria famiglia, del proprio paese, la Russia. Per raccontare cosa? Non tanto e non solo le storie dei propri avi, considerandole rappresentative di qualcosa di più grande. Quanto l'effetto che l'immersione in quelle storie, in quelle vicende, ha su di noi, che ci immergiamo direttamente (la scrittrice) o indirettamente (i lettori) in quel magma che ci ha preceduto. Per arrivare alla consapevolezza un limite invalicabile che ci impedisce di uscire dal qui e ora e di riuscire a vedere, a capire davvero un altro tempo, un altro luogo. E proprio nell'accettazione di quel limite, però, c'è uno scatto della coscienza, una comprensione più profonda, seppure incompleta, di ciò che sono stati gli altri, prima di noi. E di ciò che siamo noi oggi, prima di quelli che ci seguiranno.
Un libro che non è un romanzo e non è una riflessione, ma ha dentro di sé qualcosa di entrambe queste forme letterarie. Un grande libro sulle possibilità di espansione e definizione della nostra identità di persone. Anche se non siamo russi. Anche se non siamo scrittori eccellenti come lo è la Stepanova.
Marija Stepanova - Memoria della memoria - trad. Emanuela Bonacorsi - 2017 - Bompiani 2020
La prima cosa che mi viene in mente, come spesso succede è una cosa di cui mi vergogno.
I racconti, quando sono belli, sono impareggiabili. Hanno una combinazione di forza e misura che nessun romanzo potrà eguagliare mai. Il romanzo è un fiume, e anche il fiume più pulito e scorrevole ha le sue anse, le zone dove la terra si scioglie e rende l'acqua un po' marrone. Il racconto è un torrente e, se è bello, trasmette un'energia vitale unica.
Questi racconti di Sandro Campani non sono solo belli. Sono necessari. Ambientati nella mezza montagna reggiana, tra piccoli paesi, dighe prosciugate, serpi e vipere, giochi elettronici e predicatori, hanno come protagonisti un gruppo di ragazzini colti nel passaggio tra pubertà e prima adolescenza. La lingua che Campani usa per descriverli e per farli parlare è esatta e allo stesso tempo evocativa, precisa e poetica, ma non nel senso del "poetico" stereotipato, quanto per il fatto che ti portano a pensare a quei luoghi e a quel tempo con la forza e la delicatezza che solo la poesia, quando è ben disciolta nella prosa, sa avere. Una lingua attenta ed economica, quella di Campani, che tenta sempre di raggiungere il massimo risultato col minimo utilizzo di artifici. E ci riesce.
Ho letto anche un romanzo di Sandro Campani, il bel Il giro del miele, edito da Einaudi. Ma se io fossi Einaudi, o un qualsiasi altro editore, gli farei continuare a scrivere racconti. E li presenterei al mondo come i racconti che in Italia ancora non erano stati scritti: racconti di qualità assoluta, che dal particolare che viene narrato producono in chi legge il contatto con l'universale. Come è potere degli scrittori veri.
Sandro Campani - Nel paese del Magnano - Italic Pequod 2010
I racconti, quando sono belli, sono impareggiabili. Hanno una combinazione di forza e misura che nessun romanzo potrà eguagliare mai. Il romanzo è un fiume, e anche il fiume più pulito e scorrevole ha le sue anse, le zone dove la terra si scioglie e rende l'acqua un po' marrone. Il racconto è un torrente e, se è bello, trasmette un'energia vitale unica.
Questi racconti di Sandro Campani non sono solo belli. Sono necessari. Ambientati nella mezza montagna reggiana, tra piccoli paesi, dighe prosciugate, serpi e vipere, giochi elettronici e predicatori, hanno come protagonisti un gruppo di ragazzini colti nel passaggio tra pubertà e prima adolescenza. La lingua che Campani usa per descriverli e per farli parlare è esatta e allo stesso tempo evocativa, precisa e poetica, ma non nel senso del "poetico" stereotipato, quanto per il fatto che ti portano a pensare a quei luoghi e a quel tempo con la forza e la delicatezza che solo la poesia, quando è ben disciolta nella prosa, sa avere. Una lingua attenta ed economica, quella di Campani, che tenta sempre di raggiungere il massimo risultato col minimo utilizzo di artifici. E ci riesce.
Ho letto anche un romanzo di Sandro Campani, il bel Il giro del miele, edito da Einaudi. Ma se io fossi Einaudi, o un qualsiasi altro editore, gli farei continuare a scrivere racconti. E li presenterei al mondo come i racconti che in Italia ancora non erano stati scritti: racconti di qualità assoluta, che dal particolare che viene narrato producono in chi legge il contatto con l'universale. Come è potere degli scrittori veri.
Sandro Campani - Nel paese del Magnano - Italic Pequod 2010
Sei ciò che ami, ma anche ciò che ti spaventa.
Cos'è uno scrittore? Uno che racconta bene, a volte molto bene, delle storie? No. Quello è un narratore. Di narratori ce ne sono molti. La Tv e il cinema ne sono pieni. Di bravi narratori ce ne sono molti meno, e quando si trova un bravo narratore si festeggia. Il bravo narratore è uno che ti racconta una storia complessa, piena di strati, e te la fa apparire semplice, per esempio. Tu bevi la sua storia pensando sia una bibita rinfrescante, e ti ritrovi nutrito oltre ogni aspettativa. Bello.
Ma lo scrittore è un'altra cosa. Lo scrittore è uno che ha in sé un modo di vedere, di sentire le cose, molto diverso dalla maggioranza delle altre persone. Un modo più profondo, o più sbalestrato, o più ossessivo, o più ampio, o più... Più. Ed è uno che riesce, attraverso le parole, attraverso le storie, a trasmetterlo agli altri operando il miracolo di far sentire quel mondo - il suo, solo suo, mondo - come familiare a chi legge, e che fino a quel momento aveva visto e sentito le cose in modo completamente diverso. Aveva visto e sentito... meno.
Enzo Fileno Carabba aveva già scritto libri belli. Pieni di bontà e perfidia, di umorismo e di immaginazione, di risate e visioni prospettiche sbarellate e sbarellanti. Insomma, era già uno scrittore prima di questo libro. Ma qui trova la sua misura migliore. Va dentro di sé, e porta su conchiglie su conchiglie, che unite tutte insieme formano una collana di frasi, lunghissima e leggera, che fa di questo "romanzo" (vogliamo continuare a usare questa parola elastica? Continuiamo) uno dei libri più divertenti e commoventi, più spontanei e riflessivi, più aerei e profondi che mi sia capitato di leggere ultimamente. E non parlo degli ultimi giorni, ma degli ultimi anni. Uno di quei libri che vorresti leggere a ogni ora del giorno ma non lo fai per non finire troppo in fretta. Uno di quei libri che ti esaltano e ti pacificano. Uno di quei libri che dovrebbero avere un successo assoluto.
C'è il mare, ci sono i parenti, la montagna, i quattro elementi, i gamberi killer, i serpenti, la barriera corallina. Ci sono gatti, ragazze più grandi, film dell'orrore. C'è il rigo nero. Si porge l'altra guancia, si comprende senza capire fino in fondo.
Si parla di lui, di Enzo Fileno Carabba.
Si parla di noi, tutti noi.
Enzo Fileno Carabba - La zia subacquea e altri abissi famigliari - Mondadori 2015
Cos'è uno scrittore? Uno che racconta bene, a volte molto bene, delle storie? No. Quello è un narratore. Di narratori ce ne sono molti. La Tv e il cinema ne sono pieni. Di bravi narratori ce ne sono molti meno, e quando si trova un bravo narratore si festeggia. Il bravo narratore è uno che ti racconta una storia complessa, piena di strati, e te la fa apparire semplice, per esempio. Tu bevi la sua storia pensando sia una bibita rinfrescante, e ti ritrovi nutrito oltre ogni aspettativa. Bello.
Ma lo scrittore è un'altra cosa. Lo scrittore è uno che ha in sé un modo di vedere, di sentire le cose, molto diverso dalla maggioranza delle altre persone. Un modo più profondo, o più sbalestrato, o più ossessivo, o più ampio, o più... Più. Ed è uno che riesce, attraverso le parole, attraverso le storie, a trasmetterlo agli altri operando il miracolo di far sentire quel mondo - il suo, solo suo, mondo - come familiare a chi legge, e che fino a quel momento aveva visto e sentito le cose in modo completamente diverso. Aveva visto e sentito... meno.
Enzo Fileno Carabba aveva già scritto libri belli. Pieni di bontà e perfidia, di umorismo e di immaginazione, di risate e visioni prospettiche sbarellate e sbarellanti. Insomma, era già uno scrittore prima di questo libro. Ma qui trova la sua misura migliore. Va dentro di sé, e porta su conchiglie su conchiglie, che unite tutte insieme formano una collana di frasi, lunghissima e leggera, che fa di questo "romanzo" (vogliamo continuare a usare questa parola elastica? Continuiamo) uno dei libri più divertenti e commoventi, più spontanei e riflessivi, più aerei e profondi che mi sia capitato di leggere ultimamente. E non parlo degli ultimi giorni, ma degli ultimi anni. Uno di quei libri che vorresti leggere a ogni ora del giorno ma non lo fai per non finire troppo in fretta. Uno di quei libri che ti esaltano e ti pacificano. Uno di quei libri che dovrebbero avere un successo assoluto.
C'è il mare, ci sono i parenti, la montagna, i quattro elementi, i gamberi killer, i serpenti, la barriera corallina. Ci sono gatti, ragazze più grandi, film dell'orrore. C'è il rigo nero. Si porge l'altra guancia, si comprende senza capire fino in fondo.
Si parla di lui, di Enzo Fileno Carabba.
Si parla di noi, tutti noi.
Enzo Fileno Carabba - La zia subacquea e altri abissi famigliari - Mondadori 2015
Mia madre è comparsa in cima alle scale. Si tamponava gli occhi con un tovagliolo che probabilmente aveva portato con sé quando era salita in camera dopo pranzo. Con voce neutra ha detto: "E' finita".
E' un periodo in cui mi capita di leggere libri sul padre dell'autore. Giorgio Falco (qui sotto), Valerio Magrelli (Geologia di un padre), Annie Ernaux. Ognuno col suo stile. Quello della Ernaux è giocato tutto sulla sottrazione. Scrive libri magri, la Ernaux. Non tanto come numero di pagine (questo ne conta 114 stampate a caratteri grandi, per raccontare una vita), quanto come asciuttezza della frase, assenza di ogni orpello astratto, uso dell'ellissi narrativa. Sembra di tenere in mano un legno levigato mentre leggi, non un libro. Sono testi che andrebbero assaporati lentamente, per coglierne la potenza emotiva. Invece sono così scorrevoli che si tende a buttarli giù tutti d'un sorso. E' un peccato, perché poi tocca rileggerli. O forse è tutt'altro che un peccato.
Annie Ernaux - Il posto - Trad. Lorenzo Flabbi - 1983 - L'Orma 2014
E' un periodo in cui mi capita di leggere libri sul padre dell'autore. Giorgio Falco (qui sotto), Valerio Magrelli (Geologia di un padre), Annie Ernaux. Ognuno col suo stile. Quello della Ernaux è giocato tutto sulla sottrazione. Scrive libri magri, la Ernaux. Non tanto come numero di pagine (questo ne conta 114 stampate a caratteri grandi, per raccontare una vita), quanto come asciuttezza della frase, assenza di ogni orpello astratto, uso dell'ellissi narrativa. Sembra di tenere in mano un legno levigato mentre leggi, non un libro. Sono testi che andrebbero assaporati lentamente, per coglierne la potenza emotiva. Invece sono così scorrevoli che si tende a buttarli giù tutti d'un sorso. E' un peccato, perché poi tocca rileggerli. O forse è tutt'altro che un peccato.
Annie Ernaux - Il posto - Trad. Lorenzo Flabbi - 1983 - L'Orma 2014
Mio padre si era trasferito da solo a Milano, aveva preso la patente grazie all'esercito, dieci anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale era diventato autista per l'Atm, da lui chiamata l'Azienda.
Un libro sul lavoro. Su come è cambiato il lavoro nel nostro mondo negli ultimi trent'anni. Su come siamo cambiati noi, di conseguenza.
Un libro sul padre. Sul rapporto che si ha col padre anche quando la relazione faccia a faccia si rarefa, quasi scompare.
Un libro sulle periferie, o meglio sulle zone artigianali o industriali che circondano le grandi città. Un libro sull'hinterland, la terra che sta in mezzo. In mezzo a cosa? In mezzo a noi stessi, e le cose che stanno in mezzo a volte sono le più difficili da vedere, così in superficie e così nascoste. Giorgio Falco le vede, le sente, le descrive. Ci parla, con quella roba lì. Si chiude in un gabbiotto per mesi, scrive, comincia a pubblicare. E continua a parlare con l'hinterland e dell'hinterland: ciò che normalmente non si vede, ciò che normalmente scorre via.
Questo libro è un modo di guardare tradotto in parole. Ed è un gran bel libro.
Giorgio Falco - Ipotesi di una sconfitta - Einaudi 2017
Un libro sul lavoro. Su come è cambiato il lavoro nel nostro mondo negli ultimi trent'anni. Su come siamo cambiati noi, di conseguenza.
Un libro sul padre. Sul rapporto che si ha col padre anche quando la relazione faccia a faccia si rarefa, quasi scompare.
Un libro sulle periferie, o meglio sulle zone artigianali o industriali che circondano le grandi città. Un libro sull'hinterland, la terra che sta in mezzo. In mezzo a cosa? In mezzo a noi stessi, e le cose che stanno in mezzo a volte sono le più difficili da vedere, così in superficie e così nascoste. Giorgio Falco le vede, le sente, le descrive. Ci parla, con quella roba lì. Si chiude in un gabbiotto per mesi, scrive, comincia a pubblicare. E continua a parlare con l'hinterland e dell'hinterland: ciò che normalmente non si vede, ciò che normalmente scorre via.
Questo libro è un modo di guardare tradotto in parole. Ed è un gran bel libro.
Giorgio Falco - Ipotesi di una sconfitta - Einaudi 2017
Non ho mai attribuito tanta importanza alla mia persona da sentire il desiderio di raccontare ad altri la storia della mia vita.
E infatti non ce la racconta, Stefan Zweig (autore austriaco che tra le due guerre ebbe enorme popolarità), in questa che è la storia dell'improvviso disfacimento di un mondo - quello solido e borghese dell'800 centroeuropeo - che va in pezzi con lo scoppio della Grande Guerra, e che poi si ricompone in forme mai viste prima, che porteranno al nazismo e a tutto ciò che ne è scaturito. Zweig scrive con una pacatezza di stampo classico, tenendo presenti tutti gli elementi in gioco, dalle sfumature psicologiche alle potenti forze economiche sottostanti. E' una lettura rassicurante per lo stile, ma profondamente turbante per la chiarezza con cui fa percepire la facilità con cui possono prodursi disastri epocali. Sconsigliato a chi desidera continuare a vivere pensando che siamo nel migliore dei mondi possibili.
PS: Zweig, con tutta la sua pacatezza, si uccise in Brasile insieme alla seconda moglie pochi anni dopo la stesura di questo libro. Si sospettò anche che fossero stati uccisi da un qualche agente segreto tedesco. In ogni caso, anche la sua vita e la sua morte, oltre che la sua opera, continuano a turbarci.
Stefan Zweig - Il mondo di ieri - trad. Lavinia Mazzucchetti - 1942 - Mondadori 1946
E infatti non ce la racconta, Stefan Zweig (autore austriaco che tra le due guerre ebbe enorme popolarità), in questa che è la storia dell'improvviso disfacimento di un mondo - quello solido e borghese dell'800 centroeuropeo - che va in pezzi con lo scoppio della Grande Guerra, e che poi si ricompone in forme mai viste prima, che porteranno al nazismo e a tutto ciò che ne è scaturito. Zweig scrive con una pacatezza di stampo classico, tenendo presenti tutti gli elementi in gioco, dalle sfumature psicologiche alle potenti forze economiche sottostanti. E' una lettura rassicurante per lo stile, ma profondamente turbante per la chiarezza con cui fa percepire la facilità con cui possono prodursi disastri epocali. Sconsigliato a chi desidera continuare a vivere pensando che siamo nel migliore dei mondi possibili.
PS: Zweig, con tutta la sua pacatezza, si uccise in Brasile insieme alla seconda moglie pochi anni dopo la stesura di questo libro. Si sospettò anche che fossero stati uccisi da un qualche agente segreto tedesco. In ogni caso, anche la sua vita e la sua morte, oltre che la sua opera, continuano a turbarci.
Stefan Zweig - Il mondo di ieri - trad. Lavinia Mazzucchetti - 1942 - Mondadori 1946
La nostra casa sorgeva a mezza costa di una collinetta pelata che sovrastava la strada nazionale all'uscita della città. Il sole del primo pomeriggio la investiva tutta. Ai piedi della collina, oltre la strada, la pianura si estendeva fino a una linea spezzata di alture. Il sole si abbassava su quelle alture, ma lentamente: la pianura, soffocata dalla luce, giaceva immobile con le stradine dritte e bianche che l'attraversavano da podere a podere.
Ha un incipit quasi cassoliano questo romanzo di Cancogni, che di Cassola peraltro era amico fraterno. La scrittura pulita, la grande importanza data al paesaggio, o meglio al riflesso che il paesaggio provoca sull'interiorità del protagonista. Che all'inizio è un bambino che cerca di trovare il proprio posto nel mondo osservando e sfuggendo i "falsi movimenti" del suo contesto familiare. Poi un ragazzino che nella Roma di un Ventennio qui appena percepito, cresce grazie al non-detto, all'inespresso della banda di coetanei in cui è intruppato. E, sempre, la realtà ci giunge franta, spezzata quasi fossimo in un quadro cubista. Sono i pezzi in accumulo di una personalità che si sta formando. E che troverà compimento, felice compimento, proprio nel contesto e nell'istante apparentemente meno propizi: l'arrivo da tenente sul fronte greco nel 1941, sotto la linea del Tomori.
Un libro un po' dimenticato, bellissimo.
La linea del Tomori - Manlio Cancogni - Mondadori 1965
Ha un incipit quasi cassoliano questo romanzo di Cancogni, che di Cassola peraltro era amico fraterno. La scrittura pulita, la grande importanza data al paesaggio, o meglio al riflesso che il paesaggio provoca sull'interiorità del protagonista. Che all'inizio è un bambino che cerca di trovare il proprio posto nel mondo osservando e sfuggendo i "falsi movimenti" del suo contesto familiare. Poi un ragazzino che nella Roma di un Ventennio qui appena percepito, cresce grazie al non-detto, all'inespresso della banda di coetanei in cui è intruppato. E, sempre, la realtà ci giunge franta, spezzata quasi fossimo in un quadro cubista. Sono i pezzi in accumulo di una personalità che si sta formando. E che troverà compimento, felice compimento, proprio nel contesto e nell'istante apparentemente meno propizi: l'arrivo da tenente sul fronte greco nel 1941, sotto la linea del Tomori.
Un libro un po' dimenticato, bellissimo.
La linea del Tomori - Manlio Cancogni - Mondadori 1965
La sua sensualità aveva un accento ancora infantile, come ebbe in seguito per tutta la vita. Per questo egli non riuscì mai, in fondo, ad amare veramente: ad uscire, cioè, da sé stesso per accorgersi di un altro essere (o a entrare così a fondo in sé stesso da desiderare un altro essere): egli conobbe, al più, passioni, qualche volta anche violente, ma non l'amore.
Un memoir che ci fa vedere da vicino il pittore toscano forse più noto del Novecento, Ottone Rosai. Scritto nel 1958 (un anno dopo la sua morte) da un narratore che gli era stato amico per decenni. Ne emerge un personaggio forte e ambiguo, di fronte alla vita e di fronte alla Storia. Come molti altri italiani, intellettuali o no. Di quel tempo (il ventennio) o di altri tempi.
Ritratto di Rosai. Lineamenti di un'esistenza - Piero Santi - De Donato editore 1966
Un memoir che ci fa vedere da vicino il pittore toscano forse più noto del Novecento, Ottone Rosai. Scritto nel 1958 (un anno dopo la sua morte) da un narratore che gli era stato amico per decenni. Ne emerge un personaggio forte e ambiguo, di fronte alla vita e di fronte alla Storia. Come molti altri italiani, intellettuali o no. Di quel tempo (il ventennio) o di altri tempi.
Ritratto di Rosai. Lineamenti di un'esistenza - Piero Santi - De Donato editore 1966
In culo! In culo!, urlava Gianni. In culo a tutti! Correva per la casa ed esultava come Pruzzo quando segna all'Olimpico. In culo! In culo!, ruotando il braccio destro, facendo i gesti più volgari, con il pacco. In culo, in culo, in culo! Merdosi! Cin-que-cen-to-mi-lio-ni, ripeteva, in culo.
Un libro che racconta in presa diretta gli anni '80, fondamenta torbide e colorate di ciò che siamo diventati, e che a distanza di tempo sta diventando ancora più importante e "bello". Uso le virgolette perché apparentemente c'è poco di bello nella storia di Gianni, Sabrina e della loro figlia Marina, portatrice di un gravissimo e irrimediabile handicap. Vivono in affitto a Viareggio d'inverno, per risparmiare. Hanno pensieri elementari, sogni raggiungibili con poco. Fin quando, in apertura di romanzo, capita loro un colpo di fortuna. Allora tutto cambia. L'inafferrabile diventa a portata di mano, l'impensabile diventa pensato. E le loro vite cominciano a scivolare verso uno di quei baratri da cui non si torna più. Recami ci porge la loro caduta - che in fondo è un po' anche la nostra - mostrandoci con veleno e sobrietà, senza una parola di troppo ma senza negarsi e negarci alcuna nefandezza, il lungo momento della perdita dell'innocenza di una coppia (e di un popolo) allo sbando.
L'errore di Platini - Francesco Recami - 2006 - Sellerio 2017
Un libro che racconta in presa diretta gli anni '80, fondamenta torbide e colorate di ciò che siamo diventati, e che a distanza di tempo sta diventando ancora più importante e "bello". Uso le virgolette perché apparentemente c'è poco di bello nella storia di Gianni, Sabrina e della loro figlia Marina, portatrice di un gravissimo e irrimediabile handicap. Vivono in affitto a Viareggio d'inverno, per risparmiare. Hanno pensieri elementari, sogni raggiungibili con poco. Fin quando, in apertura di romanzo, capita loro un colpo di fortuna. Allora tutto cambia. L'inafferrabile diventa a portata di mano, l'impensabile diventa pensato. E le loro vite cominciano a scivolare verso uno di quei baratri da cui non si torna più. Recami ci porge la loro caduta - che in fondo è un po' anche la nostra - mostrandoci con veleno e sobrietà, senza una parola di troppo ma senza negarsi e negarci alcuna nefandezza, il lungo momento della perdita dell'innocenza di una coppia (e di un popolo) allo sbando.
L'errore di Platini - Francesco Recami - 2006 - Sellerio 2017
Il treno si mosse: lo accompagnò per qualche passo e saltò sul predellino. Rimase sporto a guardare indietro finché il cavalcavia si abbassò a coprire la vista delle case.
Il treno traballava sugli scambi. Dino seguì con lo sguardo due binari che si aprivano la strada nella distesa di rotaie; finché li vide allontanarsi tra due file di case. Sul muro cieco della prima c'era la scritta Km 0,785.
Anche il loro binario uscì dall'intrico, portandosi sull'orlo della scarpata. La barriera di cemento era in basso; al di là si stendevano orti e campi. La città ricominciò con una strada in cui avanzava un carro trainato da due cavalli: le grosse zampe pelose si sollevavano a tempo come stantuffi. Un'altra strada correva obliquamente a incontrare il verde spento di un viale.
Sembra di sentirlo, quel treno che parte. E di vederlo, quell'intreccio di binari. E quegli orti, quei campi, quelle strade. Eppure, per descriverli, è stato usato il minimo di parole necessarie. Cassola è un genio dell'economia descrittiva. E volutamente non dico narrativa, perché in realtà narra assai poco, almeno in questo libro. Che è catalogato come romanzo, ma che non è un romanzo. E' qualcosa di più simile a un dipinto. Anzi a una successione di quadri, dipinti quasi in monocromia. Mi ha ricordato le bottiglie di Morandi. Ecco, un Morandi a cielo aperto. Ci sono uomini, donne, matrimoni. La noia di provincia, speranze inespresse. Psicologie elementari. I personaggi tendono a confondersi l'uno con l'altro. Quello che rimane è il paesaggio, la sottile noia esistenziale emanata dalle crete, dalle colline, dagli scorci cittadini. Poche parole, tocchi lievi, e la vita passa, senza un vero significato. Il treno intanto va avanti e indietro: c'era prima di noi, ci sarà anche dopo.
Ferrovia locale - Carlo Cassola - 1968 - Mondadori 1972
Il treno traballava sugli scambi. Dino seguì con lo sguardo due binari che si aprivano la strada nella distesa di rotaie; finché li vide allontanarsi tra due file di case. Sul muro cieco della prima c'era la scritta Km 0,785.
Anche il loro binario uscì dall'intrico, portandosi sull'orlo della scarpata. La barriera di cemento era in basso; al di là si stendevano orti e campi. La città ricominciò con una strada in cui avanzava un carro trainato da due cavalli: le grosse zampe pelose si sollevavano a tempo come stantuffi. Un'altra strada correva obliquamente a incontrare il verde spento di un viale.
Sembra di sentirlo, quel treno che parte. E di vederlo, quell'intreccio di binari. E quegli orti, quei campi, quelle strade. Eppure, per descriverli, è stato usato il minimo di parole necessarie. Cassola è un genio dell'economia descrittiva. E volutamente non dico narrativa, perché in realtà narra assai poco, almeno in questo libro. Che è catalogato come romanzo, ma che non è un romanzo. E' qualcosa di più simile a un dipinto. Anzi a una successione di quadri, dipinti quasi in monocromia. Mi ha ricordato le bottiglie di Morandi. Ecco, un Morandi a cielo aperto. Ci sono uomini, donne, matrimoni. La noia di provincia, speranze inespresse. Psicologie elementari. I personaggi tendono a confondersi l'uno con l'altro. Quello che rimane è il paesaggio, la sottile noia esistenziale emanata dalle crete, dalle colline, dagli scorci cittadini. Poche parole, tocchi lievi, e la vita passa, senza un vero significato. Il treno intanto va avanti e indietro: c'era prima di noi, ci sarà anche dopo.
Ferrovia locale - Carlo Cassola - 1968 - Mondadori 1972
Sempre, quando, in visita ai monasteri di Kyoto o di Nara, chiedo a qualcuno di indicarmi i gabinetti - e sono gabinetti all'antica, affogati nella penombra, meticolosamente netti tuttavia - un senso di riconoscenza profonda mi prende per quel che di unico v'è nell'architettura giapponese. Amabile cosa è il "soggiorno" delle nostre case - lo cha no ma -, ma solo il gabinetto giapponese è interamente concepito per il riposo dello spirito. Discosti dall'edificio principale, i gabinetti stanno accucciati sotto minuscoli cespi selvosi, da cui viene odore di verde di foglie, e di borraccina. E' bello, là, accovacciarsi nel lucore che filtra dallo shoji, e fantasticare, e guardare il giardino. Tra i sommi piaceri dell'esistenza Natsume Soseki annoverava le evacuazioni mattutine: piacere fisiologico, che solo nel gabinetto alla giapponese, fra lisce pareti di legno dalle sottili venature, mirando l'azzurro del cielo e il verde della vegetazione, si può assaporare sino in fondo. Insisto: sono necessari una lieve penombra, nessuna fulgidezza, la pulizia più accurata, e un silenzio così profondo che sia possibile udire lontano un volo di zanzare. Senza tali requisiti non si dà gabinetto ideale.
Non si parla solo di gabinetti, in questo che è considerato il capolavoro di Jun'ichiro Tanizaki. Il cui titolo tradotto alla lettera sarebbe (il bellissimo) Elogio della penombra. Si parla, appunto, della penombra che da sempre pervade gli interni giapponesi, e che il contatto con l'estetica occidentale - basata sull'illuminazione elettrica, sulla luminosità - stava rischiando di travolgere. Tanizaki non si oppone al progresso. Semplicemente spezza una lancia, accorata e poetica, pragmatica e ideale, a favore del mantenimento di certe caratteristiche millenarie, in modo da integrare l'antico col moderno, per non perdere per sempre il carattere sfumato, evanescente eppure millimetrico, dell'arte di vivere dei giapponesi. Un saggio leggero e godibile anche per chi non è mai stato in Giappone. Scritto con amore e misura.
Libro d'ombra - Jun'ichiro Tanizaki - trad. Atsuko Ricca Suga - a cura di Giovanni Mariotti - 1962 - Bompiani 2017
Non si parla solo di gabinetti, in questo che è considerato il capolavoro di Jun'ichiro Tanizaki. Il cui titolo tradotto alla lettera sarebbe (il bellissimo) Elogio della penombra. Si parla, appunto, della penombra che da sempre pervade gli interni giapponesi, e che il contatto con l'estetica occidentale - basata sull'illuminazione elettrica, sulla luminosità - stava rischiando di travolgere. Tanizaki non si oppone al progresso. Semplicemente spezza una lancia, accorata e poetica, pragmatica e ideale, a favore del mantenimento di certe caratteristiche millenarie, in modo da integrare l'antico col moderno, per non perdere per sempre il carattere sfumato, evanescente eppure millimetrico, dell'arte di vivere dei giapponesi. Un saggio leggero e godibile anche per chi non è mai stato in Giappone. Scritto con amore e misura.
Libro d'ombra - Jun'ichiro Tanizaki - trad. Atsuko Ricca Suga - a cura di Giovanni Mariotti - 1962 - Bompiani 2017
Venerdì, 3 maggio 1957
Einaudi mi trova con le bozze del Gavagnin. Si arrabbia perché dice che faccio un lavoro inutile, mentre dovrei interessarmi di cose più serie (De Sanctis, Gramsci, Parnaso ecc.). Mi difendo come posso dicendo che è un lavoro che faccio nei ritagli in attesa delle bozze del Don Chisciotte che mi portano man mano da deliberare. Dal caso particolare passa - spostandosi nell'ufficio di Calvino - ad accusare la redazione di non seguire i volumi, di non discuterli coi vari autori (polemica con Bollati). Cita il caso del volume di Spriano che nessuno ha letto bene e che va avanti com'è, magari con imprecisioni che poi danneggiano lo stesso Spriano. Cita per contro il caso del Berti che, per merito di Serini e di Maturi che glielo hanno corretto, è diventato buono. E' questa - dice - la funzione culturale di una redazione efficiente: cosa che noi non siamo. Si lamenta di non trovare mai nessuno in ufficio. Calvino e io gli proponiamo di fare una riunione di tutti i redattori e di parlare a tutti come ha parlato a noi. Einaudi scantona, come al solito. In effetti, Einaudi non ha torto, ma se la viene a prendere e a sfogarsi - come al solito - con chi meno ne ha colpa. Del resto quando Einaudi alza la voce, c'è già una perfetta intesa fra lui e chi gli sta davanti: è un accordo sottinteso che si stabilisce senza nemmeno accorgersene.
Spiare come in un acquario come funzionava, nei minimi dettagli, la casa editrice più influente d'Italia. Vedere il giovane Calvino acceso di passioni politiche, Fruttero e Lucentini che ancora non hanno messo la "&" tra i loro cognomi, le eterne ansie per l'andamento finanziario, l'entusiasmo per i libri in preparazione, le fughe al lago o in montagna per sfuggire alla routine... Un diario che è una macchina del tempo. Anni irripetibili, fondamenta di ciò che ancora oggi si può chiamare cultura.
La parabola dello Sputnik (Diario 1956-1958) - Daniele Ponchiroli - a cura di Tommaso Munari - Edizioni della Normale 2017
Einaudi mi trova con le bozze del Gavagnin. Si arrabbia perché dice che faccio un lavoro inutile, mentre dovrei interessarmi di cose più serie (De Sanctis, Gramsci, Parnaso ecc.). Mi difendo come posso dicendo che è un lavoro che faccio nei ritagli in attesa delle bozze del Don Chisciotte che mi portano man mano da deliberare. Dal caso particolare passa - spostandosi nell'ufficio di Calvino - ad accusare la redazione di non seguire i volumi, di non discuterli coi vari autori (polemica con Bollati). Cita il caso del volume di Spriano che nessuno ha letto bene e che va avanti com'è, magari con imprecisioni che poi danneggiano lo stesso Spriano. Cita per contro il caso del Berti che, per merito di Serini e di Maturi che glielo hanno corretto, è diventato buono. E' questa - dice - la funzione culturale di una redazione efficiente: cosa che noi non siamo. Si lamenta di non trovare mai nessuno in ufficio. Calvino e io gli proponiamo di fare una riunione di tutti i redattori e di parlare a tutti come ha parlato a noi. Einaudi scantona, come al solito. In effetti, Einaudi non ha torto, ma se la viene a prendere e a sfogarsi - come al solito - con chi meno ne ha colpa. Del resto quando Einaudi alza la voce, c'è già una perfetta intesa fra lui e chi gli sta davanti: è un accordo sottinteso che si stabilisce senza nemmeno accorgersene.
Spiare come in un acquario come funzionava, nei minimi dettagli, la casa editrice più influente d'Italia. Vedere il giovane Calvino acceso di passioni politiche, Fruttero e Lucentini che ancora non hanno messo la "&" tra i loro cognomi, le eterne ansie per l'andamento finanziario, l'entusiasmo per i libri in preparazione, le fughe al lago o in montagna per sfuggire alla routine... Un diario che è una macchina del tempo. Anni irripetibili, fondamenta di ciò che ancora oggi si può chiamare cultura.
La parabola dello Sputnik (Diario 1956-1958) - Daniele Ponchiroli - a cura di Tommaso Munari - Edizioni della Normale 2017
Era stata anche felice in quel mondo, di quando in quando. Era stata irrequieta, scontenta, confusa, e anche felice. Ma lo negò con furore assoluto: mai, mai. Non sono mai stata felice, disse.
Si dice sempre così.
La gente fa grandi cambiamenti, ma non sono mai quelli che crede.
Conosco una persona, che stimo, che non ama Alice Munro.
No. Non la conosco. La stimo, ma non la conosco.
Se la conoscessi, capirei il perché, e come, si può non amare questa scrittrice.
Io, da solo, non riesco proprio a capirlo.
Amica della mia giovinezza - Alice Munro - trad. Susanna Basso - Einaudi 2017
Si dice sempre così.
La gente fa grandi cambiamenti, ma non sono mai quelli che crede.
Conosco una persona, che stimo, che non ama Alice Munro.
No. Non la conosco. La stimo, ma non la conosco.
Se la conoscessi, capirei il perché, e come, si può non amare questa scrittrice.
Io, da solo, non riesco proprio a capirlo.
Amica della mia giovinezza - Alice Munro - trad. Susanna Basso - Einaudi 2017
Beckett (...) una volta aveva scritto che la speranza non è che un ciarlatano che non smette di imbrogliarci. "E, per me" aveva scritto Beckett "io ho cominciato a star bene solo quando l'ho persa. E il verso che Dante ha messo sulla porta dell'inferno, Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate, io" ha scritto Beckett "lo metteri sulla porta del paradiso".
Se c'è un autore che ha il potere di mettermi di buonumore, è Paolo Nori. Fosse presente, mi metterei lì e lo ascolterei per giorni. Poi magari non è che dica cose che mi rimangano dentro in modo assoluto per sempre. Però dà un color di miele all'esistenza, si affaccia da certi angoli che di solito vengono trascurati, lascia il sorriso in bocca. Magari un po' amaro, ma sempre sorriso è. Quando mi sento giù, d'ora in poi leggo Paolo Nori.
Siamo buoni se siamo buoni - Paolo Nori - Marcos y Marcos 2014
Se c'è un autore che ha il potere di mettermi di buonumore, è Paolo Nori. Fosse presente, mi metterei lì e lo ascolterei per giorni. Poi magari non è che dica cose che mi rimangano dentro in modo assoluto per sempre. Però dà un color di miele all'esistenza, si affaccia da certi angoli che di solito vengono trascurati, lascia il sorriso in bocca. Magari un po' amaro, ma sempre sorriso è. Quando mi sento giù, d'ora in poi leggo Paolo Nori.
Siamo buoni se siamo buoni - Paolo Nori - Marcos y Marcos 2014
Pioveva su tutte le langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sotto terra.
C'è il Fenoglio lirico, romantico e composto di Una questione privata. Quello sperimentale e debordante del Partigiano Johnny. Quello fresco, stupito e spigliato dei 23 giorni della città di Alba. E quello dolente di questo breve romanzo che non parla di Resistenza ma della resistenza dei contadini alla vita grama ed eterna che fino a qualche decennio fa gli competeva (oggi compete a qualcun altro: c'è sempre chi fa una vita grama). E ogni volta, attraverso un uso attento e personale della lingua, Fenoglio rimane sé stesso, inconfondibile e fortissimo, qualunque cosa narri, e in qualunque modo lo narri. Scrittore e narratore come pochi.
La malora - Beppe Fenoglio - 1954 - Einaudi 1980
C'è il Fenoglio lirico, romantico e composto di Una questione privata. Quello sperimentale e debordante del Partigiano Johnny. Quello fresco, stupito e spigliato dei 23 giorni della città di Alba. E quello dolente di questo breve romanzo che non parla di Resistenza ma della resistenza dei contadini alla vita grama ed eterna che fino a qualche decennio fa gli competeva (oggi compete a qualcun altro: c'è sempre chi fa una vita grama). E ogni volta, attraverso un uso attento e personale della lingua, Fenoglio rimane sé stesso, inconfondibile e fortissimo, qualunque cosa narri, e in qualunque modo lo narri. Scrittore e narratore come pochi.
La malora - Beppe Fenoglio - 1954 - Einaudi 1980
La prima sensazione che ricordo è di essere sotto qualcosa. Era un tavolo, vedevo la gamba di un tavolo, vedevo le gambe della gente, e un pezzetto di tovaglia che pendeva. Era buio, lì sotto, mi piaceva stare lì sotto.
C'è un profumo di verità, o un puzzo di verità, nei libri di Bukowski, che è quasi unico. C'è l'istinto che gli fa intuire che non vale la pena sperare, in questa vita, e che lo fa affondare in una disperazione reattiva, sbruffona, disposta a tutto, anche a perdere sé stessa (la disperazione) e approdare per brevi pause in un mondo vivibile. Per poi ricominciare a scendere. Con umorismo e ferocia, fino in fondo.
Panino al prosciutto - Charles Bukowski - trad. non indicato - TEA 2002
C'è un profumo di verità, o un puzzo di verità, nei libri di Bukowski, che è quasi unico. C'è l'istinto che gli fa intuire che non vale la pena sperare, in questa vita, e che lo fa affondare in una disperazione reattiva, sbruffona, disposta a tutto, anche a perdere sé stessa (la disperazione) e approdare per brevi pause in un mondo vivibile. Per poi ricominciare a scendere. Con umorismo e ferocia, fino in fondo.
Panino al prosciutto - Charles Bukowski - trad. non indicato - TEA 2002
Sembravo uno che volesse abbandonare il suo stesso abbandono dietro un angolo.
E' un libro inafferrabile, Fisica della malinconia. Pensi che sia un libro di memorie infantili o giovanili ambientato nella Bulgaria del tardo socialismo. Ma poi no, ti convinci che è un saggio in forma narrativa sul mito del Minotauro. Ma poi no, ti dici che in fondo è la storia di uno che vuole scrivere un libro, metaletteratura quindi... Ma no, neanche questo. Oppure tutto questo insieme. E' inafferrabile. Perché è lui ad afferrare te, dalla prima pagina, e a non mollarti fino all'ultima. C'è solo da lasciarsi andare. Soddisfazione e godimento sono assicurati.
Fisica della malinconia - Georgi Gospodinov - trad. Giuseppe Dell'Agata - 2011 - Voland 2012
E' un libro inafferrabile, Fisica della malinconia. Pensi che sia un libro di memorie infantili o giovanili ambientato nella Bulgaria del tardo socialismo. Ma poi no, ti convinci che è un saggio in forma narrativa sul mito del Minotauro. Ma poi no, ti dici che in fondo è la storia di uno che vuole scrivere un libro, metaletteratura quindi... Ma no, neanche questo. Oppure tutto questo insieme. E' inafferrabile. Perché è lui ad afferrare te, dalla prima pagina, e a non mollarti fino all'ultima. C'è solo da lasciarsi andare. Soddisfazione e godimento sono assicurati.
Fisica della malinconia - Georgi Gospodinov - trad. Giuseppe Dell'Agata - 2011 - Voland 2012
L'uomo si era seduto nella poltrona davanti al televisore, fra i rotocalchi e i rimasugli della merenda. Era la sua posizione preferita, il posto assegnato nella battaglia che ogni giorno lo attendeva sempre uguale, sempre terribile.
Un luogo di frontiera, con tutte le sue ambiguità. La scoperta, da parte di un figlio, delle verità incoffessabili del padre. L'emulazione fra coetanei che sfocia in un gesto fatale.
Un pugno di personaggi, e le forze potenti che li dividono e li uniscono, resi con una lingua precisa e forte, e col senso sicuro del narrare, da parte di uno scrittore capace di raccontare l'indicibile. Come sono in grado di fare in pochi.
Lo spregio - Alessandro Zaccuri - Marsilio 2016
Un luogo di frontiera, con tutte le sue ambiguità. La scoperta, da parte di un figlio, delle verità incoffessabili del padre. L'emulazione fra coetanei che sfocia in un gesto fatale.
Un pugno di personaggi, e le forze potenti che li dividono e li uniscono, resi con una lingua precisa e forte, e col senso sicuro del narrare, da parte di uno scrittore capace di raccontare l'indicibile. Come sono in grado di fare in pochi.
Lo spregio - Alessandro Zaccuri - Marsilio 2016
Quando si trattava di nascondere le proprie preoccupazioni Tommy Wilhelm non era da meno di chiunque altro.
Questo era il romanzo di Saul Bellow preferito da Alberto Moravia. E si capisce perché: è secco, spietato, profondamente umano eppure quasi senza speranza. Tommy Wilhem ha quarant'anni, una serie di decisioni sbagliate alle spalle, un padre che non lo aiuta, poco spazio per giocarsi le ultime possibilità di rinascita. Incarna la debolezza che è in quasi tutti noi, la porta a dimensioni estreme, la fa esplodere. Intorno la società bada a sé stessa, e se possibile gli monta addosso per spolparlo meglio. A me è piaciuto molto: come uno di quei documentari in cui la gazzella viene sbranata dai leoni. E l'abissale dispiacere per la morte di un essere vivente a cui ci si affeziona fa, come dire, parte del pacchetto.
La resa dei conti - Saul Bellow - trad. Floriana Bossi - 1956 - Einaudi 1960
Questo era il romanzo di Saul Bellow preferito da Alberto Moravia. E si capisce perché: è secco, spietato, profondamente umano eppure quasi senza speranza. Tommy Wilhem ha quarant'anni, una serie di decisioni sbagliate alle spalle, un padre che non lo aiuta, poco spazio per giocarsi le ultime possibilità di rinascita. Incarna la debolezza che è in quasi tutti noi, la porta a dimensioni estreme, la fa esplodere. Intorno la società bada a sé stessa, e se possibile gli monta addosso per spolparlo meglio. A me è piaciuto molto: come uno di quei documentari in cui la gazzella viene sbranata dai leoni. E l'abissale dispiacere per la morte di un essere vivente a cui ci si affeziona fa, come dire, parte del pacchetto.
La resa dei conti - Saul Bellow - trad. Floriana Bossi - 1956 - Einaudi 1960
E' sempre così: nulla va come dovrebbe; cento, mille, diecimila nostri desideri e speranze falliscono: ma ci sono una o al massimo due cose più importanti del resto, senza le quali sarebbe impossibile vivere, e queste, alla fine, riescono. Quasi per sbaglio, con la massima naturalezza. E il destino non pretende gratitudine.
Attraverso il fitto setaccio dei fatti, senza considerarli mai poco importanti, questo libro cerca di afferrare la parte più preziosa di noi, ciò che ci sfugge sempre, lo struggimento indicibile, la saggezza senza nome, la sostanza che ci accomuna, l'antimateria invisibile che ci tiene in piedi. Lo fa raccontando l'educazione militare all'interno di un collegio ungherese di quasi cento anni fa. Io ci ho ritrovato le dinamiche vissute in caserma quando mi toccò fare il soldato. E i riti di passaggio di quando ero adolescente. Ma soprattutto, grazie alla pazienza dell'autore, al suo non cedere mai al romanzesco, al suo amore per i personaggi, anche quelli più sgradevoli, ho sentito il fruscio di quel qualcosa di sfuggente che potremmo chiamare anche anima.
Scuola sulla frontiera - Géza Ottlik - trad. Bruno Ventavoli - 1959 - Edizioni e/o 1992
Attraverso il fitto setaccio dei fatti, senza considerarli mai poco importanti, questo libro cerca di afferrare la parte più preziosa di noi, ciò che ci sfugge sempre, lo struggimento indicibile, la saggezza senza nome, la sostanza che ci accomuna, l'antimateria invisibile che ci tiene in piedi. Lo fa raccontando l'educazione militare all'interno di un collegio ungherese di quasi cento anni fa. Io ci ho ritrovato le dinamiche vissute in caserma quando mi toccò fare il soldato. E i riti di passaggio di quando ero adolescente. Ma soprattutto, grazie alla pazienza dell'autore, al suo non cedere mai al romanzesco, al suo amore per i personaggi, anche quelli più sgradevoli, ho sentito il fruscio di quel qualcosa di sfuggente che potremmo chiamare anche anima.
Scuola sulla frontiera - Géza Ottlik - trad. Bruno Ventavoli - 1959 - Edizioni e/o 1992
C'erano giorni in cui per strada incrociavo solo ciechi.
Ho letto il primo tomo di questa trilogia. Un libro che cerca di raccontare il nostro rapporto con l'Universo in cui siamo immersi, di cui siamo una minuscola, insignificante eppure unica porzione. La morte, la nascita, l'idea di Dio, ciò che c'è al di là dei nostri sensi, ciò che possiamo provare a immaginare ma non percepiamo. Un compito immane, che l'autore svolge partendo dalla sua stanzetta di adolescente in una Bucarest livida e nevosa, per spingersi a narrare la vita di chi c'era prima di lui, e da lì a tratteggiare scenari apocalittici e di creazione e ri-creazione, con la figura ricorrente della farfalla, metafora di qualcosa di così complesso che solo leggendo si può forse intuire, ma che mi è impossibile riassumere in un commento.
Detto così sembrerebbe un libro difficile, forse troppo. Non è così, perché Cartarescu fa un uso talmente sapiente della lingua (che noi possiamo apprezzare grazie alla traduzione di Bruno Mazzoni) da farci seguire passo passo il suo viaggio, senza perderci mai. A volte ci sono passaggi impervi, ma proprio quando avverti il fiatone la strada si spiana di nuovo, tenendoti legato a un cammino così alto e ambizioso.
Un percorso avvincente intorno a questioni che non si possono "dire". Ma solo, appunto, cercare di raccontare. Cartarescu ci riesce.
Abbacinante. L'ala sinistra - Mircea Cartarescu - trad. Bruno Mazzoni - 2000 - Voland 2007
Ho letto il primo tomo di questa trilogia. Un libro che cerca di raccontare il nostro rapporto con l'Universo in cui siamo immersi, di cui siamo una minuscola, insignificante eppure unica porzione. La morte, la nascita, l'idea di Dio, ciò che c'è al di là dei nostri sensi, ciò che possiamo provare a immaginare ma non percepiamo. Un compito immane, che l'autore svolge partendo dalla sua stanzetta di adolescente in una Bucarest livida e nevosa, per spingersi a narrare la vita di chi c'era prima di lui, e da lì a tratteggiare scenari apocalittici e di creazione e ri-creazione, con la figura ricorrente della farfalla, metafora di qualcosa di così complesso che solo leggendo si può forse intuire, ma che mi è impossibile riassumere in un commento.
Detto così sembrerebbe un libro difficile, forse troppo. Non è così, perché Cartarescu fa un uso talmente sapiente della lingua (che noi possiamo apprezzare grazie alla traduzione di Bruno Mazzoni) da farci seguire passo passo il suo viaggio, senza perderci mai. A volte ci sono passaggi impervi, ma proprio quando avverti il fiatone la strada si spiana di nuovo, tenendoti legato a un cammino così alto e ambizioso.
Un percorso avvincente intorno a questioni che non si possono "dire". Ma solo, appunto, cercare di raccontare. Cartarescu ci riesce.
Abbacinante. L'ala sinistra - Mircea Cartarescu - trad. Bruno Mazzoni - 2000 - Voland 2007
Aveva sufficiente immaginazione per essere di cattivo umore.
Sono appena tornato da Chicago. E da New York. Non quelle di adesso, quelle di cento-centoventi anni fa. Mi ci ha portato Hemingway, indirettamente. Perché il vecchio Hem considerava suo maestro nel racconto breve Sherwood Anderson. (Lo avete mai letto Sherwood Anderson? Non sapete cosa vi state perdendo). E Anderson, all'inizio di uno dei suoi libri, fa una dedica sentita e affettuosa al suo maestro: Theodore Dreiser. Così, quando ho trovato su una bancarella questo "Nostra Sorella Carrie", l'ho comprato.
Il titolo non è attraente, va detto. Già meglio l'originale: "Sister Carrie". Uno si immagina una suora. Non ci sono suore. Forse Sorella va inteso nel senso che Carrie è come tutti noi, debole e poi forte, buona e poi anaffettiva, incoerente, tesa alla ricerca della propria sopravvivenza, del proprio benessere. O forse quel Sorella c'è anche perché davvero una delle sorelle di Dreiser era scappata in Canada con l'amministratore di un locale di Chicago, che si era portato via con sé la cassa...
Lo scenario è quello del capitalismo ancora senza freni, meno di quanti ne abbia conservati oggi, con un primo sciopero dei tranvieri di New York narrato superbamente. Non sempre la scrittura è controllata, efficace, scorrevole. A volte s'impantana in metafore corrive, a volte si perde in preamboli moralistico-sociologici ad apertura di capitolo che fanno un po' sorridere.
Eppure ti tiene lì, per quasi 500 pagine. Ti fa sentire Chicago, e New York, e quel po' di Canada con tutti i loro contrasti, atmosferici e sociali, psicologici ed economici, i mondi della povertà e della ricchezza che si sfiorano senza sovrapporsi mai, i sentimenti che appassiscono più in fretta di quanto uno si potrebbe aspettare, la tanta miseria e la poca nobiltà che sta nei cuori umani.
Fu il primo romanzo di Dreiser. L'editore si pentì di avergli fatto firmare il contratto, si convinse che la storia era troppo immorale, non c'era redenzione, neanche alla fine. Stampò poche copie, non fece pubblicità. Vendite scarse: poco più di 400 copie. Dreiser, amareggiato, non scrisse per dieci anni. Poi ci ripensò. E adesso non mi resta che scoprire cosa ne venne fuori.
Nostra Sorella Carrie - Theodore Dreiser - trad. Gabriele Baldini - 1900 - Einaudi 1975
Sono appena tornato da Chicago. E da New York. Non quelle di adesso, quelle di cento-centoventi anni fa. Mi ci ha portato Hemingway, indirettamente. Perché il vecchio Hem considerava suo maestro nel racconto breve Sherwood Anderson. (Lo avete mai letto Sherwood Anderson? Non sapete cosa vi state perdendo). E Anderson, all'inizio di uno dei suoi libri, fa una dedica sentita e affettuosa al suo maestro: Theodore Dreiser. Così, quando ho trovato su una bancarella questo "Nostra Sorella Carrie", l'ho comprato.
Il titolo non è attraente, va detto. Già meglio l'originale: "Sister Carrie". Uno si immagina una suora. Non ci sono suore. Forse Sorella va inteso nel senso che Carrie è come tutti noi, debole e poi forte, buona e poi anaffettiva, incoerente, tesa alla ricerca della propria sopravvivenza, del proprio benessere. O forse quel Sorella c'è anche perché davvero una delle sorelle di Dreiser era scappata in Canada con l'amministratore di un locale di Chicago, che si era portato via con sé la cassa...
Lo scenario è quello del capitalismo ancora senza freni, meno di quanti ne abbia conservati oggi, con un primo sciopero dei tranvieri di New York narrato superbamente. Non sempre la scrittura è controllata, efficace, scorrevole. A volte s'impantana in metafore corrive, a volte si perde in preamboli moralistico-sociologici ad apertura di capitolo che fanno un po' sorridere.
Eppure ti tiene lì, per quasi 500 pagine. Ti fa sentire Chicago, e New York, e quel po' di Canada con tutti i loro contrasti, atmosferici e sociali, psicologici ed economici, i mondi della povertà e della ricchezza che si sfiorano senza sovrapporsi mai, i sentimenti che appassiscono più in fretta di quanto uno si potrebbe aspettare, la tanta miseria e la poca nobiltà che sta nei cuori umani.
Fu il primo romanzo di Dreiser. L'editore si pentì di avergli fatto firmare il contratto, si convinse che la storia era troppo immorale, non c'era redenzione, neanche alla fine. Stampò poche copie, non fece pubblicità. Vendite scarse: poco più di 400 copie. Dreiser, amareggiato, non scrisse per dieci anni. Poi ci ripensò. E adesso non mi resta che scoprire cosa ne venne fuori.
Nostra Sorella Carrie - Theodore Dreiser - trad. Gabriele Baldini - 1900 - Einaudi 1975
Un vecchio indiano, alto, con un paio di Levi's sbiaditi e una bella cintura zuni. I lunghi capelli bianchi legati all'altezza del collo con un filo di tessuto rosso lampone. La cosa strana era che da più o meno di un anno ci capitava di trovarci da Angel sempre alla stessa ora. Ma gli orari non erano mai gli stessi. Cioè, io magari ci andavo il lunedì alle sette o il venerdì alle sei e mezza di sera, e lui era già lì.
La scrittura di Lucia Berlin è così: immediata, secca, precisa, coinvolgente. C'è sempre lei al centro, eppure ci sono un sacco di altre cose: persone, città, quartieri, tempo che passa, morte, genitori impossibili, alcolismo. Soprattutto una sottile, tenera ironia per se stessa e per il mondo, che lo rende vivibile anche quando pare diventare un buco senza fondo. Più di 450 pagine di racconti attraverso cui si snoda una vita, la sua, che entra in contatto con quella di ciascuno di noi. Ne vorremmo ancora, ancora, come i bambini chiedono un ultimo giro di giostra.
Lucia Berlin è morta nel 2004, a 68 anni. Ha scritto racconti per tutta la vita. Non le diremo mai abbastanza: grazie.
La donna che scriveva racconti - Lucia Berlin - trad. Federica Aceto - 2015 - Bollati Boringhieri 2016
La scrittura di Lucia Berlin è così: immediata, secca, precisa, coinvolgente. C'è sempre lei al centro, eppure ci sono un sacco di altre cose: persone, città, quartieri, tempo che passa, morte, genitori impossibili, alcolismo. Soprattutto una sottile, tenera ironia per se stessa e per il mondo, che lo rende vivibile anche quando pare diventare un buco senza fondo. Più di 450 pagine di racconti attraverso cui si snoda una vita, la sua, che entra in contatto con quella di ciascuno di noi. Ne vorremmo ancora, ancora, come i bambini chiedono un ultimo giro di giostra.
Lucia Berlin è morta nel 2004, a 68 anni. Ha scritto racconti per tutta la vita. Non le diremo mai abbastanza: grazie.
La donna che scriveva racconti - Lucia Berlin - trad. Federica Aceto - 2015 - Bollati Boringhieri 2016
La trovarono dei ragazzini.
Ho passato diversi giorni in compagnia di James Ellroy che cercava di mettersi in contatto con sua madre, strangolata nel 1958 da uno sconosciuto, quando lo scrittore aveva dieci anni. Mentre prova, a quasi quarant'anni di distanza, a far luce su quell'omicidio, Ellroy scende nei recessi della propria vita e in quella dei genitori.
Non ho mai amato molto il mondo tutto "fottuti sbirri" di Ellroy. Ne ho sempre avuto rispetto (perché sentivo che emanava verità) ma mi ha sempre frenato uno stile volutamente così secco da rimanermi incastrato da qualche parte, prima di arrivare alle emozioni. Questa volta è stato diverso. Questo libro è diverso. Ha momenti di altissima intensità emotiva. E una scrittura che, pur restando priva di fronzoli e scandita come suo solito, sorregge quasi sempre il cammino nel buio del protagonista-autore. Gli manca forse un pelo per arrivare a essere un grandissimo libro (un abbandono maggiore a un vortice di amore da cui non si fa penetrare fino in fondo?), ma è senz'altro un libro avvincente, coinvolgente, che non si schioderà più dalla mia memoria.
I miei luoghi oscuri - James Ellroy - trad. Sergio Claudio Perroni - 1996 - Bompiani 2000
Ho passato diversi giorni in compagnia di James Ellroy che cercava di mettersi in contatto con sua madre, strangolata nel 1958 da uno sconosciuto, quando lo scrittore aveva dieci anni. Mentre prova, a quasi quarant'anni di distanza, a far luce su quell'omicidio, Ellroy scende nei recessi della propria vita e in quella dei genitori.
Non ho mai amato molto il mondo tutto "fottuti sbirri" di Ellroy. Ne ho sempre avuto rispetto (perché sentivo che emanava verità) ma mi ha sempre frenato uno stile volutamente così secco da rimanermi incastrato da qualche parte, prima di arrivare alle emozioni. Questa volta è stato diverso. Questo libro è diverso. Ha momenti di altissima intensità emotiva. E una scrittura che, pur restando priva di fronzoli e scandita come suo solito, sorregge quasi sempre il cammino nel buio del protagonista-autore. Gli manca forse un pelo per arrivare a essere un grandissimo libro (un abbandono maggiore a un vortice di amore da cui non si fa penetrare fino in fondo?), ma è senz'altro un libro avvincente, coinvolgente, che non si schioderà più dalla mia memoria.
I miei luoghi oscuri - James Ellroy - trad. Sergio Claudio Perroni - 1996 - Bompiani 2000
Più tardi ricordò come felici tutte le ore di quel pomeriggio: uno di quei momenti privi di eventi che lì per lì sembrano soltanto un anello tra il piacere passato e il piacere futuro, ma poi si rivelano come il piacere stesso.
Qualche tempo fa mi pare che fu Paolo Repetti, su facebook, a lanciare la votazione: meglio Il Grande Gatsby o Tenera è la notte? Lui, se ben ricordo, era a favore del secondo. Io avrei votato il primo, ma erano troppi gli anni passati da quando avevo letto Tenera è la notte, da ragazzo, per poter dare un giudizio fondato. Così tacqui. E così l'ho riletto. E ora non saprei proprio cosa votare. Perché continuo ad amare appassionatamente la nostalgia-del-futuro fatta libro che è Il Grande Gatsby, ma ho trovato Tenera è la notte di una modernità, anzi di un'eternità, strabiliante. Se Edith Wharton raccontava in forme compite la durezza di una classe sociale un passo prima dell'inizio della fine, in Fitzgerald quel passo è stato fatto, e forma e contenuto si fondono nella scrittura e all'interno dei personaggi in un continuo, inquieto rincorrersi di momenti inafferrabili, che diventano comprensibili solo nel ricordo. Si sente che fra la Wharton (ma anche fra il primo Scott Fitzgerald) e l'autore di questo romanzo è passato Hemingway con la sua capacità di asciugare e concentrare le emozioni, Cezanne che ha reso vertiginoso il dedicarsi a un unico soggetto con minime variazioni, Picasso col suo spaccare la realtà in piani non più ricomponibili. Ma è solo lui, solo Francis Scott Fitzgerald, che poteva trasformare tutto questo in un romanzo struggente e vivo, che a distanza di più di 80 anni ci coinvolge, ci addolora e ci lascia ammirati.
Tenera è la notte - Francis Scott Fitzgerald - trad. Fernanda Pivano - 1934 - Einaudi 1961
Qualche tempo fa mi pare che fu Paolo Repetti, su facebook, a lanciare la votazione: meglio Il Grande Gatsby o Tenera è la notte? Lui, se ben ricordo, era a favore del secondo. Io avrei votato il primo, ma erano troppi gli anni passati da quando avevo letto Tenera è la notte, da ragazzo, per poter dare un giudizio fondato. Così tacqui. E così l'ho riletto. E ora non saprei proprio cosa votare. Perché continuo ad amare appassionatamente la nostalgia-del-futuro fatta libro che è Il Grande Gatsby, ma ho trovato Tenera è la notte di una modernità, anzi di un'eternità, strabiliante. Se Edith Wharton raccontava in forme compite la durezza di una classe sociale un passo prima dell'inizio della fine, in Fitzgerald quel passo è stato fatto, e forma e contenuto si fondono nella scrittura e all'interno dei personaggi in un continuo, inquieto rincorrersi di momenti inafferrabili, che diventano comprensibili solo nel ricordo. Si sente che fra la Wharton (ma anche fra il primo Scott Fitzgerald) e l'autore di questo romanzo è passato Hemingway con la sua capacità di asciugare e concentrare le emozioni, Cezanne che ha reso vertiginoso il dedicarsi a un unico soggetto con minime variazioni, Picasso col suo spaccare la realtà in piani non più ricomponibili. Ma è solo lui, solo Francis Scott Fitzgerald, che poteva trasformare tutto questo in un romanzo struggente e vivo, che a distanza di più di 80 anni ci coinvolge, ci addolora e ci lascia ammirati.
Tenera è la notte - Francis Scott Fitzgerald - trad. Fernanda Pivano - 1934 - Einaudi 1961
Selden si bloccò, stupito. Tra la folla dell'ora di punta pomeridiana, alla Grand Central Station di New York, i suoi occhi lampeggiarono di allegria alla vista di Miss Lily Bart.
Lily Bart è un bel personaggio: sfaccettato, complesso, determinato eppure votato alla sconfitta. Con un'incapacità di amare e di farsi amare che, al di là delle forme cerimoniose dell'alta-borghesia americana dei primi del Novecento, è senza tempo. Ma quello che mi colpisce di più, in questo romanzo che si muove tra bei palazzi, meravigliose ville, alberghi di Montecarlo, panfili e - nel finale - camere ammobiliate sempre più modeste, è la capacità dell'autrice di rendere la psicologia spietata di una classe sociale che si sente a pieno titolo padrona del mondo: chi non è "in", chi non ha i privilegi, è letteralmente fuori dal campo visivo, non esiste. Lily attraversa come una sonda questa atmosfera mefitica, mostrandocene i veleni in abbondanza. Con uno stile tradizionale, ottocentesco, la Wharton apre la porta ai cambiamenti epocali che stanno sopraggiungendo, quasi che ne avvertisse prima di altri lo spostamento d'aria.
La casa della gioia - Edith Wharton - trad. Pier Francesco Paolini, introd. Guido Fink - 1905 - Newton Compton 1995
Lily Bart è un bel personaggio: sfaccettato, complesso, determinato eppure votato alla sconfitta. Con un'incapacità di amare e di farsi amare che, al di là delle forme cerimoniose dell'alta-borghesia americana dei primi del Novecento, è senza tempo. Ma quello che mi colpisce di più, in questo romanzo che si muove tra bei palazzi, meravigliose ville, alberghi di Montecarlo, panfili e - nel finale - camere ammobiliate sempre più modeste, è la capacità dell'autrice di rendere la psicologia spietata di una classe sociale che si sente a pieno titolo padrona del mondo: chi non è "in", chi non ha i privilegi, è letteralmente fuori dal campo visivo, non esiste. Lily attraversa come una sonda questa atmosfera mefitica, mostrandocene i veleni in abbondanza. Con uno stile tradizionale, ottocentesco, la Wharton apre la porta ai cambiamenti epocali che stanno sopraggiungendo, quasi che ne avvertisse prima di altri lo spostamento d'aria.
La casa della gioia - Edith Wharton - trad. Pier Francesco Paolini, introd. Guido Fink - 1905 - Newton Compton 1995
L'uomo, penso, ha un bisogno d'infelicità pari almeno al suo bisogno di felicità.
C'è un uomo amante dell'arte, un americano, che decide di sposare una ragazza di buona famiglia, americana pure lei, pur essendo attratto in modo irresistibile da un'italiana che si prostituisce. C'è una ragazza di buona famiglia, americana, che decide di sposare un americano amante dell'arte, pur essendo attratta in modo irresistibile da un italiano che per soldi si accompagna a donne ricche. E poi c'è Mario Soldati, che manovra i suoi personaggi in perpetuo disequilibrio fra istinto e ragione, fra buone maniere alto-borghesi e perdizione sottoproletaria. Siamo nell'Italia del passaggio del fronte e del dopoguerra, ma questo conta meno rispetto al fronte interno dei due protagonisti, che credendo di farsi del bene si fanno del male, in un gioco di specchi simmetrici che solo il caso riuscirà a rompere, per creare però, alla fine, nuove forme di infelicità. Il tema eterno del tradimento, del pentimento e della catarsi, declinato in una prospettiva cattolica datata, ma sorretto da una scrittura limpida che rende avvincente il tormento dei protagonisti.
Le lettere da Capri - Mario Soldati - 1954 - Bompiani 1996
C'è un uomo amante dell'arte, un americano, che decide di sposare una ragazza di buona famiglia, americana pure lei, pur essendo attratto in modo irresistibile da un'italiana che si prostituisce. C'è una ragazza di buona famiglia, americana, che decide di sposare un americano amante dell'arte, pur essendo attratta in modo irresistibile da un italiano che per soldi si accompagna a donne ricche. E poi c'è Mario Soldati, che manovra i suoi personaggi in perpetuo disequilibrio fra istinto e ragione, fra buone maniere alto-borghesi e perdizione sottoproletaria. Siamo nell'Italia del passaggio del fronte e del dopoguerra, ma questo conta meno rispetto al fronte interno dei due protagonisti, che credendo di farsi del bene si fanno del male, in un gioco di specchi simmetrici che solo il caso riuscirà a rompere, per creare però, alla fine, nuove forme di infelicità. Il tema eterno del tradimento, del pentimento e della catarsi, declinato in una prospettiva cattolica datata, ma sorretto da una scrittura limpida che rende avvincente il tormento dei protagonisti.
Le lettere da Capri - Mario Soldati - 1954 - Bompiani 1996
C'era da noi al kibbutz Yekhat un tizio, si chiamava Zvi Provizor: era uno scapolo intorno ai cinquantacinque, basso di statura e con un tic agli occhi. La sua passione era dare brutte notizie: terremoti, aerei precipitati, crolli di edifici con vittime, incendi e alluvioni. Leggeva il giornale la mattina presto, prima di tutti, e ascoltava tutti i notiziari radio giusto per potersi presentare all'ingresso del refettorio e sconvolgerti con duecentocinquanta minatori intrappolati senza speranze da una frana in una miniera di carbone in Cina o con un traghetto che si era capovolto facendo annegare seicento passeggeri durante un tifone nel Mar dei Caraibi. Teneva anche scrupolosamente a memoria i necrologi in bacheca. I decessi delle persone famose veniva a saperli prima di chiunque altro, e informava tutto il kibbutz. Una mattina mi ha fermato sul sentiero davanti all'ambulatorio.
"Hai mai sentito nominare un certo scrittore, Wislasky?"
"Sì. So chi è. Perché?"
"E' morto."
"Mi spiace molto."
"Anche gli scrittori muoiono."
L'arte del narrare. In questo caso, davvero, non c'è bisogno di aggiungere altro.
Tra amici - Amos Oz - trad. Elena Loewenthal - 2012 - Feltrinelli 2012
"Hai mai sentito nominare un certo scrittore, Wislasky?"
"Sì. So chi è. Perché?"
"E' morto."
"Mi spiace molto."
"Anche gli scrittori muoiono."
L'arte del narrare. In questo caso, davvero, non c'è bisogno di aggiungere altro.
Tra amici - Amos Oz - trad. Elena Loewenthal - 2012 - Feltrinelli 2012
Non si finirebbe più con Stendhal. E questo è per me l'elogio più grande.
Di solito qui parlo soltanto di libri che mi hanno colpito positivamente. In questo caso, eccezione, ne segnalo uno che non riesco proprio a finire. Ci ho provato molte volte a leggere La Certosa di Parma, in età diverse. Questa volta mi sono spinto fino a pagina 230 (su 501). Bellissimo l'inizio, meraviglioso il lungo capitolo sulla battaglia di Waterloo. Ma poi, dopo un po', non ce la faccio, alzo bandiera bianca. Non fa per me. E i motivi per cui non fa per me, anche se riconosco in qualche modo la grandezza del romanzo, li ho capiti leggendo il meraviglioso saggio di Paul Valery incluso nell'edizione che indico qui sotto. Che mette in evidenza cristallina le caratteristiche, i pregi e i limiti dello scrittore Stendhal, anzi del personaggio Stendhal, di cui lo scrittore è solo una delle forme assunte. E che mi ha reso chiaro perché quei limiti mi portino presto a saturazione, nonostante riconosca in pieno tutti i suoi pregi. "Ai miei occhi" come dice Valery, "Henry Beyle (Stendhal) è più un uomo di spirito che un uomo di lettere. E' troppo tipicamente se stesso per essere interamente riducibile a scrittore".
Se vi piace, leggete Stendhal. Se non vi piace, leggete Valery. In ogni caso, vi arricchirete.
La Certosa di Parma - Stendhal - 1839 - trad. Franca Zanelli Quarantini - Con un saggio di Paul Valery - 1924 - trad. Stefano Agosti - Mondadori 1989
Di solito qui parlo soltanto di libri che mi hanno colpito positivamente. In questo caso, eccezione, ne segnalo uno che non riesco proprio a finire. Ci ho provato molte volte a leggere La Certosa di Parma, in età diverse. Questa volta mi sono spinto fino a pagina 230 (su 501). Bellissimo l'inizio, meraviglioso il lungo capitolo sulla battaglia di Waterloo. Ma poi, dopo un po', non ce la faccio, alzo bandiera bianca. Non fa per me. E i motivi per cui non fa per me, anche se riconosco in qualche modo la grandezza del romanzo, li ho capiti leggendo il meraviglioso saggio di Paul Valery incluso nell'edizione che indico qui sotto. Che mette in evidenza cristallina le caratteristiche, i pregi e i limiti dello scrittore Stendhal, anzi del personaggio Stendhal, di cui lo scrittore è solo una delle forme assunte. E che mi ha reso chiaro perché quei limiti mi portino presto a saturazione, nonostante riconosca in pieno tutti i suoi pregi. "Ai miei occhi" come dice Valery, "Henry Beyle (Stendhal) è più un uomo di spirito che un uomo di lettere. E' troppo tipicamente se stesso per essere interamente riducibile a scrittore".
Se vi piace, leggete Stendhal. Se non vi piace, leggete Valery. In ogni caso, vi arricchirete.
La Certosa di Parma - Stendhal - 1839 - trad. Franca Zanelli Quarantini - Con un saggio di Paul Valery - 1924 - trad. Stefano Agosti - Mondadori 1989
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. (...) Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi.
Almeno una volta l'anno bisogna leggere, o rileggere, Primo Levi. Perché fa bene. Perché nessuno come lui guarda le cose più tremende in faccia senza chiudere gli occhi, facendole passare per il cuore ma sempre attraverso il filtro di una mente acuta che lavora e distingue, ragiona, prova a dare un senso. Con l'umiltà di ammettere che certe volte un senso non c'è. Io non avevo ancora letto La tregua. Me lo tenevo lì, come un qualcosa di prezioso da prendere in mano al momento giusto. Che evidentemente è arrivato. E' un libro formicolante di vita, vita che prova a colmare il grande vuoto provocato dal Lager. Sappiamo che non riuscirà a riempirlo fino in fondo, ma già l'illusione di riuscirci ci dà una spinta di energia verso il futuro. A noi che il Lager non l'abbiamo vissuto. Ma che ne vediamo ogni giorno simulacri e scampoli affacciarsi dal mondo che abbiamo intorno.
La tregua - Primo Levi - 1963 - Einaudi 2003
Almeno una volta l'anno bisogna leggere, o rileggere, Primo Levi. Perché fa bene. Perché nessuno come lui guarda le cose più tremende in faccia senza chiudere gli occhi, facendole passare per il cuore ma sempre attraverso il filtro di una mente acuta che lavora e distingue, ragiona, prova a dare un senso. Con l'umiltà di ammettere che certe volte un senso non c'è. Io non avevo ancora letto La tregua. Me lo tenevo lì, come un qualcosa di prezioso da prendere in mano al momento giusto. Che evidentemente è arrivato. E' un libro formicolante di vita, vita che prova a colmare il grande vuoto provocato dal Lager. Sappiamo che non riuscirà a riempirlo fino in fondo, ma già l'illusione di riuscirci ci dà una spinta di energia verso il futuro. A noi che il Lager non l'abbiamo vissuto. Ma che ne vediamo ogni giorno simulacri e scampoli affacciarsi dal mondo che abbiamo intorno.
La tregua - Primo Levi - 1963 - Einaudi 2003
Nessuno, lassù, ci chiama al mattino con la voce dolce del risveglio. Nessuno scende con cautela, uno per volta, i gradini rossi della scala di legno (dal lato della ringhiera inutile, la mano sinistra, leggermente ripiegata verso l'interno, le penzola lungo il fianco, e con la destra si appoggia attenta alla parete bianca). Nessuno, dopo breve esitazione, spinge la porta della nostra stanza (il viso s'infila dentro la fessura, spinge la testa in avanti e si avvicina, appare il suo profilo).
Mi ci è voluto molto tempo per leggere questo libro. L'avevo cominciato, l'ho interrotto a metà, l'ho ripreso e finito anni dopo. Eppure la sua forza è tale che non ho avuto bisogno di tornare indietro a rileggere. E la sua forza era proprio il motivo che mi aveva spinto a interrompere la lettura: una sorta di incapacità di reggere tutta insieme la profondità, l'onestà e la disperazione che questo libro contiene. La morte della figlia, una bambina sui cinque anni, per un tumore implacabile. Già tema del primo libro di Forest, Tutti i bambini tranne uno. Là veniva narrata la malattia e la morte, qui il deserto del lutto. Con una precisione, un'attenzione alle sfumature, un coraggio che lasciano a volte senza fiato. E' un libro che far star male. Ma che ci fa capire come le parole, impotenti a salvare una vita, possano creare una comunità, uno scambio di sentimento indicibile, che ci rende tutti, uno per uno, per qualche istante, meno soli.
Per tutta la notte - Philip Forest - trad. Domenico Scarpa - 1999 - Alet 2006
Mi ci è voluto molto tempo per leggere questo libro. L'avevo cominciato, l'ho interrotto a metà, l'ho ripreso e finito anni dopo. Eppure la sua forza è tale che non ho avuto bisogno di tornare indietro a rileggere. E la sua forza era proprio il motivo che mi aveva spinto a interrompere la lettura: una sorta di incapacità di reggere tutta insieme la profondità, l'onestà e la disperazione che questo libro contiene. La morte della figlia, una bambina sui cinque anni, per un tumore implacabile. Già tema del primo libro di Forest, Tutti i bambini tranne uno. Là veniva narrata la malattia e la morte, qui il deserto del lutto. Con una precisione, un'attenzione alle sfumature, un coraggio che lasciano a volte senza fiato. E' un libro che far star male. Ma che ci fa capire come le parole, impotenti a salvare una vita, possano creare una comunità, uno scambio di sentimento indicibile, che ci rende tutti, uno per uno, per qualche istante, meno soli.
Per tutta la notte - Philip Forest - trad. Domenico Scarpa - 1999 - Alet 2006
Il mio unico crimine era di essere un uomo e vivere nel mondo degli uomini, e una pena speciale a cosa serviva? Il crimine e la pena, in questo caso, coincidono. Sono la stessa cosa.
Un romanzo potente, profondo, con aspetti melodrammatici tenuti a bada da una scrittura precisa e da un tono "quasi-cinico" che stempera gli ardori, senza spegnerli. Jack Burden, ex laureando in Storia passato alla politica, ci racconta l'ascesa e la caduta di Willie Talos, governatore populista di uno stato del sud degli Usa, prendendo spunto da una vicenda reale degli anni Trenta, ma trasformandola in qualcosa di universale nello spazio e nel tempo. La politica vista da dentro, con i suoi meccanismi presenti ancora oggi; gli uomini e le donne scandagliati fino in fondo. 568 pagine appassionanti. Premio Pulitzer nel 1947. Nuova, ottima, traduzione.
Tutti gli uomini del re - Robert Penn Warren - trad. Michele Martino - 1946 - 66thand2nd/Feltrinelli 2014
Un romanzo potente, profondo, con aspetti melodrammatici tenuti a bada da una scrittura precisa e da un tono "quasi-cinico" che stempera gli ardori, senza spegnerli. Jack Burden, ex laureando in Storia passato alla politica, ci racconta l'ascesa e la caduta di Willie Talos, governatore populista di uno stato del sud degli Usa, prendendo spunto da una vicenda reale degli anni Trenta, ma trasformandola in qualcosa di universale nello spazio e nel tempo. La politica vista da dentro, con i suoi meccanismi presenti ancora oggi; gli uomini e le donne scandagliati fino in fondo. 568 pagine appassionanti. Premio Pulitzer nel 1947. Nuova, ottima, traduzione.
Tutti gli uomini del re - Robert Penn Warren - trad. Michele Martino - 1946 - 66thand2nd/Feltrinelli 2014
"Che cos'è questo?".
"Che cos'è cosa?".
"Be', guardi".
Nel dilagare fresco del primo sole i singoli rametti di vimini che formavano le sedie risaltavano nitidi; arcuati come serpentelli che si drizzassero e tornassero a piegarsi su se stessi nell'intreccio della struttura. Un inconsueto bagliore metallico perforò la blanda parete degli occhi di Hook e gli colpì la mente, che costrinse il corpo a farsi più vicino per guardare meglio. Sul bracciolo sinistro della poltroncina riservata di norma a lui, nella fila disposta sulla veranda degli uomini, i dirigenti avevano fissato una targhetta metallica, di due centimetri e mezzo per cinque circa, con le tre lettere Sig. incise e il suo cognome scritto in inchiostro.
Una giornata estiva in un ospizio americano nei primi anni '60. Le meschinità, le rabbie, le malinconie, l'orgoglio e l'affettività dei vecchi. Una scrittura leggera, raffinata, profonda, ironica. Il primo romanzo di un autore da cui, come diceva la bandella della prima edizione italiana del 1961, "molto c'è da attendersi". E da cui molto, in effetti, è poi arrivato.
Festa all'ospizio - John Updike - trad. Bruno Oddera - 1959 - Mondadori 1961
"Che cos'è cosa?".
"Be', guardi".
Nel dilagare fresco del primo sole i singoli rametti di vimini che formavano le sedie risaltavano nitidi; arcuati come serpentelli che si drizzassero e tornassero a piegarsi su se stessi nell'intreccio della struttura. Un inconsueto bagliore metallico perforò la blanda parete degli occhi di Hook e gli colpì la mente, che costrinse il corpo a farsi più vicino per guardare meglio. Sul bracciolo sinistro della poltroncina riservata di norma a lui, nella fila disposta sulla veranda degli uomini, i dirigenti avevano fissato una targhetta metallica, di due centimetri e mezzo per cinque circa, con le tre lettere Sig. incise e il suo cognome scritto in inchiostro.
Una giornata estiva in un ospizio americano nei primi anni '60. Le meschinità, le rabbie, le malinconie, l'orgoglio e l'affettività dei vecchi. Una scrittura leggera, raffinata, profonda, ironica. Il primo romanzo di un autore da cui, come diceva la bandella della prima edizione italiana del 1961, "molto c'è da attendersi". E da cui molto, in effetti, è poi arrivato.
Festa all'ospizio - John Updike - trad. Bruno Oddera - 1959 - Mondadori 1961
Cass era la più giovane e la più bella di cinque sorelle. Cass era la più bella ragazza di tutta la città. Mezzindiana, aveva un corpo stranamente flessuoso, focoso era e come di serpente, con due occhi che proprio ci dicevano. Cass era fuoco fluido in movimento. Era come uno spirito incastrato in una forma che però non riusciva a contenerlo.
L'ultima frase di questo suo incipit potrebbe valere anche per lui, per Charles Bukowski. La forma è quella del cinico, di quello che ne ha viste troppe, dell'alcolista, del giocatore d'azzardo, dello scopatore impenitente, dell'antiborghese per eccellenza. Lo spirito è quello di un uomo che vede la vita per quella che è, senza imbellettarla, con tutti i suoi lati sordidi e insopportabili, ma anche con le occasioni per esprimere amore, sentimento raro ma esistente e prezioso. Spassoso, vitale, vero.
Storie di ordinaria follia - erezioni, eiaculazioni, esibizioni - Charles Bukowski - trad. Pier Francesco Paolini - 1967/72 - Feltrinelli 1975
L'ultima frase di questo suo incipit potrebbe valere anche per lui, per Charles Bukowski. La forma è quella del cinico, di quello che ne ha viste troppe, dell'alcolista, del giocatore d'azzardo, dello scopatore impenitente, dell'antiborghese per eccellenza. Lo spirito è quello di un uomo che vede la vita per quella che è, senza imbellettarla, con tutti i suoi lati sordidi e insopportabili, ma anche con le occasioni per esprimere amore, sentimento raro ma esistente e prezioso. Spassoso, vitale, vero.
Storie di ordinaria follia - erezioni, eiaculazioni, esibizioni - Charles Bukowski - trad. Pier Francesco Paolini - 1967/72 - Feltrinelli 1975
|
Che punto sarebbe quello dove s'è fermato l'azzurro?
3 gennaio. Strapparmi dalle ubriacature di ozio e di vagabondaggio, a cui mi sono liberamente abbandonato dai quindici ai vent'anni, mi pare una crudeltà raffinata. Quando leggo Federigo Tozzi mi rendo conto che la vera essenza della scrittura non è la descrizione, l'ampiezza di visione o la capacità di raccontare storie. Servono anche quelle, ci mancherebbe, e ci sono ottimi scrittori che su quelle hanno fondato la propria attività. Ma la vera essenza è altro. E' la possibilità di essere sorpresi, invasi, da quella parte inconoscibile della vita che sta dentro e fuori di noi e con cui tutti, prima o poi, dobbiamo fare i conti. Tozzi ci può descrivere la vita impiegatizia nella stazione di Pontedera, o le impressioni provate sedute sull'aia di casa, di fronte a due pagliai. Ma diventa tramite fra noi e ciò che è diverso da noi: il perturbante, il misterioso. E' il più prosastico e allo stesso tempi il più poetico fra gli autori italiani del suo tempo. Bestie - Federigo Tozzi - 1917 - Piero Manni 2001 Ricordi di un impiegato - Federigo Tozzi - 1920 - Editori Riuniti 1980 |
Al canto di via dei Mercanti il segretario fece una profonda scappellata all'ingegner Ginoni, che gli rispose col suo solito: - Buon giorno, segretario amato!, - poi infilò via San Francesco d'Assisi per rientrare in casa. Mancavano venti minuti alle nove: era quasi certo d'incontrar per le scale chi desiderava.
La Pedani. Desiderava la maestra Pedani, il "segretario amato", e continuerà a desiderarla invano fino all'ultima riga di questo breve, ironico e godibilissimo romanzo dell'autore di Cuore, che qui si dimostra capace di piccole cattiverie e accenni di morbosità per nulla lacrimevoli. Tutto intorno l'Italia cerca di darsi uno scrollone salutista, ma non ci riesce mica tanto. Una trentina d'anni più tardi, in camicia nera, tutta quella fissazione per la ginnastica prenderà ben altre strade.
Amore e ginnastica - Edmondo de Amicis - 1892 - L'Unità 1993, introduz. Valeria Viganò
La Pedani. Desiderava la maestra Pedani, il "segretario amato", e continuerà a desiderarla invano fino all'ultima riga di questo breve, ironico e godibilissimo romanzo dell'autore di Cuore, che qui si dimostra capace di piccole cattiverie e accenni di morbosità per nulla lacrimevoli. Tutto intorno l'Italia cerca di darsi uno scrollone salutista, ma non ci riesce mica tanto. Una trentina d'anni più tardi, in camicia nera, tutta quella fissazione per la ginnastica prenderà ben altre strade.
Amore e ginnastica - Edmondo de Amicis - 1892 - L'Unità 1993, introduz. Valeria Viganò
Un giorno Summonti, quando aveva circa vent'anni, lesse Resurrezione di Tolstoi. In questo libro trovò la luce che cercava, vide d'un tratto tutto chiaro, fugata ogni incertezza e dubbio. E da quel giorno si mise all'opera.
L'opera in questione è quella di organizzare e dirigere un gruppo di amici e conoscenti per formare un primo nucleo clandestino di resistenza al nazifascismo. Siamo a Viareggio (qui chiamata Medusa) nell'estate del 1943. Summonti e i suoi hanno idee confuse e poco senso pratico, ma un'innocenza e un'energia che ce li fa amare. Simili ai Piccoli maestri di Meneghello, rispetto a quel libro qui sono un po' frenati dal linguaggio ancora un po' troppo letterario, un po' troppo "bello" di Tobino. Ma è comunque un romanzo che ci parla ancora, questo Clandestino: ci fa capire una volta di più come in certi momenti della Storia non ci si possa tirare indietro, costi quel che costi. Premio Strega 1962.
Il Clandestino - Mario Tobino - Mondadori 1962
L'opera in questione è quella di organizzare e dirigere un gruppo di amici e conoscenti per formare un primo nucleo clandestino di resistenza al nazifascismo. Siamo a Viareggio (qui chiamata Medusa) nell'estate del 1943. Summonti e i suoi hanno idee confuse e poco senso pratico, ma un'innocenza e un'energia che ce li fa amare. Simili ai Piccoli maestri di Meneghello, rispetto a quel libro qui sono un po' frenati dal linguaggio ancora un po' troppo letterario, un po' troppo "bello" di Tobino. Ma è comunque un romanzo che ci parla ancora, questo Clandestino: ci fa capire una volta di più come in certi momenti della Storia non ci si possa tirare indietro, costi quel che costi. Premio Strega 1962.
Il Clandestino - Mario Tobino - Mondadori 1962
Quello che c'è di essenziale in una persona viene alla luce soltanto quando dobbiamo considerarla perduta per noi, disse mio padre, nel momento in cui, ormai, questa persona può soltanto dirci addio. Ad un tratto, in tutto ciò che in essa è ormai soltanto preparazione alla morte definitiva, questa persona può essere riconosciuta nella sua verità.
Non c'è gioia, in questo libro di Thomas Bernhard. Forse non c'è gioia in tutto Thomas Bernhard. Qualche anno fa ci avevo provato, ma non ero riuscito a finirlo. Questa volta la sua prosa grigia e pastosa come cemento ancora non solidificato, la sua carrellata di austriaci morenti, o già morti, o sull'orlo della pazzia, mi ha agganciato fino in fondo. Non è un libro per chi dalla letteratura cerca consolazione, o puro piacere, o relax. E' roba per chi ha voglia di mettersi a tu per tu con i propri mostri interiori, attraverso quelli di un altro, e magari in questo modo riuscire a padroneggiarli un po' meglio. Forse.
Perturbamento - Thomas Bernhard - trad. Eugenio Bernardi - 1967 - Adelphi 1991
Non c'è gioia, in questo libro di Thomas Bernhard. Forse non c'è gioia in tutto Thomas Bernhard. Qualche anno fa ci avevo provato, ma non ero riuscito a finirlo. Questa volta la sua prosa grigia e pastosa come cemento ancora non solidificato, la sua carrellata di austriaci morenti, o già morti, o sull'orlo della pazzia, mi ha agganciato fino in fondo. Non è un libro per chi dalla letteratura cerca consolazione, o puro piacere, o relax. E' roba per chi ha voglia di mettersi a tu per tu con i propri mostri interiori, attraverso quelli di un altro, e magari in questo modo riuscire a padroneggiarli un po' meglio. Forse.
Perturbamento - Thomas Bernhard - trad. Eugenio Bernardi - 1967 - Adelphi 1991
Allora prendo la bici ed esco.
In questa immediatezza, in questa facilità solo apparente, sta una parte del fascino di questo libro. Solo apparente perché Gucci, prima di prendere la bici, deve indossare la tuta adeguata, calzare le scarpette da ciclista, ricordarsi la scorta di acqua e di barrette, scendere in cantina, controllare la pressione delle gomme, infilarsi il casco, provare a non scivolare sulla rampa che lo porta fuori, sulla strada. Da lì, inizia il suo viaggio, e il nostro. Che è un viaggio sui pedali (quelli che vanno spinti e quelli che la memoria personale o collettiva ti ripropone quasi senza sforzo, come il mondiale perso sul traguardo da Bitossi, o le clavicole spezzate di Magni, simbolo quasi di una frattura con la sua terra di nascita), ma non solo. Un viaggio tra i filari (con la visita a piccoli vignaioli di qualità, ciascuno con una storia che da sola varrebbe un libro a sé), ma non solo. E' un viaggio nella vita, quello che ci fa fare Emiliano Gucci: fra Pontormo e Macrolotto, fra cinesi e Malaparte, guardiamo, ascoltiamo, assaggiamo, ci sorprendiamo, ci commuoviamo. E alla fine, con l'impressione di aver letto un libro leggero, ci ritroviamo più ricchi di energia e di voglia di pedalare, anche senza bicicletta.
Sui pedali tra i filari. Da Prato al Chianti e ritorno - Emiliano Gucci - Laterza - 2015
In questa immediatezza, in questa facilità solo apparente, sta una parte del fascino di questo libro. Solo apparente perché Gucci, prima di prendere la bici, deve indossare la tuta adeguata, calzare le scarpette da ciclista, ricordarsi la scorta di acqua e di barrette, scendere in cantina, controllare la pressione delle gomme, infilarsi il casco, provare a non scivolare sulla rampa che lo porta fuori, sulla strada. Da lì, inizia il suo viaggio, e il nostro. Che è un viaggio sui pedali (quelli che vanno spinti e quelli che la memoria personale o collettiva ti ripropone quasi senza sforzo, come il mondiale perso sul traguardo da Bitossi, o le clavicole spezzate di Magni, simbolo quasi di una frattura con la sua terra di nascita), ma non solo. Un viaggio tra i filari (con la visita a piccoli vignaioli di qualità, ciascuno con una storia che da sola varrebbe un libro a sé), ma non solo. E' un viaggio nella vita, quello che ci fa fare Emiliano Gucci: fra Pontormo e Macrolotto, fra cinesi e Malaparte, guardiamo, ascoltiamo, assaggiamo, ci sorprendiamo, ci commuoviamo. E alla fine, con l'impressione di aver letto un libro leggero, ci ritroviamo più ricchi di energia e di voglia di pedalare, anche senza bicicletta.
Sui pedali tra i filari. Da Prato al Chianti e ritorno - Emiliano Gucci - Laterza - 2015
Seduto sul cesso senz'asse nel retro della cella, ero intento a lucidare le orribili scarpe dalla punta bulbiforme che venivano fornite a chi stava per uscire.
La naturalezza nel descrivere l'universo criminale, dentro e fuori dal carcere. Quella di chi ci ha vissuto ma non ha perso l'innocenza necessaria per riuscire a raccontarlo.
Come una bestia feroce - Edward Bunker - trad. Stefano Bortolussi - 1973 - Einaudi 2001
La naturalezza nel descrivere l'universo criminale, dentro e fuori dal carcere. Quella di chi ci ha vissuto ma non ha perso l'innocenza necessaria per riuscire a raccontarlo.
Come una bestia feroce - Edward Bunker - trad. Stefano Bortolussi - 1973 - Einaudi 2001
Se c'è una cosa che mi fa incazzare è quando mi dicono, o anche semplicemente sento dire ad altri, la frase più idiota che io conosca, vale a dire "Fatti vedere".
Nove racconti che ci fanno vedere come siamo, come ci comportiamo, come cerchiamo di scamparla e come ricaschiamo negli errori, attraverso la lente della satira quotidiana, dell'invettiva rancorosa, dello sguardo indagatore. C'è una progressione quasi matematica della comicità, si ride molto, poi a un certo punto non si ride più tanto volentieri perché ci si accorge di star ridendo di noi stessi. Però si continua a leggere, perché è troppo divertente. E perché sentiamo che l'autore non se ne tira fuori: anche lui fa parte di questo mondo assurdo. E lo sa bene.
Piccola enciclopedia delle ossessioni - Francesco Recami - Sellerio 2015
Nove racconti che ci fanno vedere come siamo, come ci comportiamo, come cerchiamo di scamparla e come ricaschiamo negli errori, attraverso la lente della satira quotidiana, dell'invettiva rancorosa, dello sguardo indagatore. C'è una progressione quasi matematica della comicità, si ride molto, poi a un certo punto non si ride più tanto volentieri perché ci si accorge di star ridendo di noi stessi. Però si continua a leggere, perché è troppo divertente. E perché sentiamo che l'autore non se ne tira fuori: anche lui fa parte di questo mondo assurdo. E lo sa bene.
Piccola enciclopedia delle ossessioni - Francesco Recami - Sellerio 2015
Il racconto ci aveva tenuti col fiato sospeso attorno al focolare, ma, salvo l'ovvia osservazione che esso era raccapricciante, come dovrebbe in fondo essere ogni strana storia narrata la vigilia di Natale in una vecchia casa, non ricordo che suscitasse alcun commento, sinché qualcuno ebbe a dire che quello era il primo caso a sua conoscenza in cui una prova del genere fosse toccata ad un fanciullo.
Col suo modo delicato di essere spietato, Henry James ci trasporta in una magione inglese di tanto tempo fa, e riesce, a noi lettori scaltriti dell'oltre 2000, a farci immedesimare nell'atmosfera allucinante e visionaria che a volte le sensibilità più esacerbate creano intorno a se stesse. Fantasmi, apparizioni, silenzi, allusioni. Ci sentiamo ogni pagina più prigionieri. E il finale non ci consola. Un piccolo-grande libro, che usa il genere per parlarci dei nostri incubi rimossi.
Il giro di vite - Henry James - trad. Elio Maraone - 1898 - Garzanti 2005
Col suo modo delicato di essere spietato, Henry James ci trasporta in una magione inglese di tanto tempo fa, e riesce, a noi lettori scaltriti dell'oltre 2000, a farci immedesimare nell'atmosfera allucinante e visionaria che a volte le sensibilità più esacerbate creano intorno a se stesse. Fantasmi, apparizioni, silenzi, allusioni. Ci sentiamo ogni pagina più prigionieri. E il finale non ci consola. Un piccolo-grande libro, che usa il genere per parlarci dei nostri incubi rimossi.
Il giro di vite - Henry James - trad. Elio Maraone - 1898 - Garzanti 2005
Quella primavera ho collaborato alla sceneggiatura di una serie televisiva.
In questo incipit c'è il perimetro esatto dell'attuale narrativa di Emmanuel Carrère, uno dei pochi scrittori viventi di cui non posso fare a meno di comprare l'ultimo libro appena esce, e di leggermelo subito. Il perimetro è: per parlare di altro, parlo di me. La chiamano auto-fiction. La bellezza sta nel fatto che in questo modo riesce a rendere vivo qualsiasi materiale. Il rischio sta nel fatto che alla fine abbia parlato più di se stesso che di ciò di cui intendeva parlare. L'equilibrio va trovato su un crinale sottile, ed è sempre precario. Qui forse in qualche momento la bilancia si inclina dalla parte del narcisismo. Però si segue con passione la vicenda di Paolo di Tarso, dell'evangelista Luca, e più in generale dei primi, decisivi decenni seguiti alla morte di Gesù. Quando il Cristianesimo, da minuscola setta sconosciuta, ha iniziato a trasformarsi nel culto più diffuso dell'Occidente. Si imparano un sacco di cose. Sembra di essere lì. Comprerò anche il prossimo libro di Carrère, appena uscirà.
Il Regno - Emmanuel Carrère - trad. Francesco Bergamasco - 2014 - Adelphi 2015
Indossava un vestito di mussolina bianca, con un centinaio di balze, gale e nodi di nastro in tinte pallide. A capo scoperto, aveva un grande parasole con un ricco bordo di pizzo che faceva girare con grazia, ed era di una bellezza ammirevole, straordinaria.
E' il romanzo che, a 35 anni, diede la popolarità a Henry James. Con quella sua scrittura ancora un po' cerimoniosa, ma carica di un'ironia che alleggerisce, ci porta a seguire quel vestito di mussolina bianca, dalla Svizzera, attraverso la Francia, fino alle luci calde e pericolose di Roma. Una delle tante storie d'amore a non-lieto fine dello scrittore americano. Un piccolo, memorabile romanzo agro-dolce.
Daisy Miller - Henry James - trad. Franco Garnero - 1878 - Mondadori 2001
E' il romanzo che, a 35 anni, diede la popolarità a Henry James. Con quella sua scrittura ancora un po' cerimoniosa, ma carica di un'ironia che alleggerisce, ci porta a seguire quel vestito di mussolina bianca, dalla Svizzera, attraverso la Francia, fino alle luci calde e pericolose di Roma. Una delle tante storie d'amore a non-lieto fine dello scrittore americano. Un piccolo, memorabile romanzo agro-dolce.
Daisy Miller - Henry James - trad. Franco Garnero - 1878 - Mondadori 2001
Anch'io presi le mie e ne accendemmo una entrambi. Era un bel momento, noi due a guardarci nella fiammella dello Zippo. Non dolce come un bacio, ma bello. Sentii di nuovo quella leggerezza dentro di me, la sensazione di sollevarmi. Certe volte la visuale ti si amplifica e anima di speranze. Certe volte credi di poter vedere dietro gli angoli e forse è così. Quelli sono momenti belli. Richiusi l'accendino e c'incamminammo di nuovo, fumando, con i dorsi delle mani che si muovevano vicini ma non tanto da toccarsi.
Quattro storie che ruotano e si intrecciano intorno al mestiere di crescere e salvarsi. Dai mostri quotidiani, dalla passione insensata per le carte, dalla guerra. Dalla vita. Stephen King è un grandissimo narratore, quando evita di "fare" lo Stephen King. Quando, cioè, gli incubi interiori si limita a farli percepire attraverso il suo realismo robusto e sottile, invece che rappresentarli direttamente: si sa che ci sono, ma non si vedono. Qui, in questo libro, ci riesce quasi sempre. E l'effetto è portentoso.
Cuori in Atlantide - Stephen King - trad. Tullio Dobner - 1999 - Sperling&Kupfer 2000
Quattro storie che ruotano e si intrecciano intorno al mestiere di crescere e salvarsi. Dai mostri quotidiani, dalla passione insensata per le carte, dalla guerra. Dalla vita. Stephen King è un grandissimo narratore, quando evita di "fare" lo Stephen King. Quando, cioè, gli incubi interiori si limita a farli percepire attraverso il suo realismo robusto e sottile, invece che rappresentarli direttamente: si sa che ci sono, ma non si vedono. Qui, in questo libro, ci riesce quasi sempre. E l'effetto è portentoso.
Cuori in Atlantide - Stephen King - trad. Tullio Dobner - 1999 - Sperling&Kupfer 2000
Non volevo avere sulla coscienza l'aver dato l'impressione che le facessi la corte.
Ossessione e ambiguità sono i poli fra cui oscilla questo perfetto romanzo breve. La ricerca del segreto, o il suo mantenimento; l'uso di chi ci potrebbe essere utile, senza il peso dei rimorsi. Un libro sotto cui si intrecciano profondamente arte e vita dei uno dei più grandi scrittori dell'800.
Il carteggio Aspern - Henry James - trad. Gilberto Sacerdoti - 1888 - Marsilio 1994
Ossessione e ambiguità sono i poli fra cui oscilla questo perfetto romanzo breve. La ricerca del segreto, o il suo mantenimento; l'uso di chi ci potrebbe essere utile, senza il peso dei rimorsi. Un libro sotto cui si intrecciano profondamente arte e vita dei uno dei più grandi scrittori dell'800.
Il carteggio Aspern - Henry James - trad. Gilberto Sacerdoti - 1888 - Marsilio 1994
I nostri difetti hanno sempre, per noi, un'affettuosa giustificazione: sono pertinenti a noi, fanno parte armoniosamente, o almeno legittimamente, della nostra condizione e struttura, ma, negli altri, gli stessi difetti ci sembrano una inclinazione viziosa, una stortura.
Tre giorni di congresso sulle risorse umane. Un intellettuale che lavora in una grande azienda e lì si sente spaesato, ma come forse tutti quelli che gli stanno intorno. L'incontro con una donna, l'avvio, forse, di una relazione. Con leggerezza e spietatezza Bigiaretti legge speranze e autoinganni di un tempo in cui le acque di giovinezza e maturità si mescolano e si intorbidano, sia dal punto di vista personale che sociale.
Il congresso - Libero Bigiaretti - Bompiani 1963
Tre giorni di congresso sulle risorse umane. Un intellettuale che lavora in una grande azienda e lì si sente spaesato, ma come forse tutti quelli che gli stanno intorno. L'incontro con una donna, l'avvio, forse, di una relazione. Con leggerezza e spietatezza Bigiaretti legge speranze e autoinganni di un tempo in cui le acque di giovinezza e maturità si mescolano e si intorbidano, sia dal punto di vista personale che sociale.
Il congresso - Libero Bigiaretti - Bompiani 1963
"Non posso sottrarmi alla mia parte d'infelicità" mormorò Isabel. "Sposar voi sarebbe un tentativo di farlo".
Isabel Archer è l'irruzione della modernità nello schema classico del romanzo realistico-psicologico ottocentesco. Indipendente, attenta, vaga, rifiuta due matrimoni che parrebbero non rifiutabili per non sottrarsi alla vita. Poi si sposa con qualcuno che la renderà infelice. Henry James ne descrive minutamente l'esistenza, per oltre 600 pagine scritte fitte, ma la lascia - e ci lascia - sempre in sospeso sul più bello. Non arriviamo mai a conoscerla fino in fondo. Come accade nella vita, con gli altri e con noi stessi.
Ritratto di signora - Henry James - trad. Carlo e Silvia Linati - 1881 - Einaudi 1993
Isabel Archer è l'irruzione della modernità nello schema classico del romanzo realistico-psicologico ottocentesco. Indipendente, attenta, vaga, rifiuta due matrimoni che parrebbero non rifiutabili per non sottrarsi alla vita. Poi si sposa con qualcuno che la renderà infelice. Henry James ne descrive minutamente l'esistenza, per oltre 600 pagine scritte fitte, ma la lascia - e ci lascia - sempre in sospeso sul più bello. Non arriviamo mai a conoscerla fino in fondo. Come accade nella vita, con gli altri e con noi stessi.
Ritratto di signora - Henry James - trad. Carlo e Silvia Linati - 1881 - Einaudi 1993
Lui tirò su col naso e raggomitolò il corpo magro, mentre la donna entrava nella luce calda della stanza da bagno e faceva scrosciare l'acqua della vasca.
Con particolari apparentemente insignificanti come questo, Simenon crea con pochi tocchi un'atmosfera, un contrasto che dà il la a una storia ambigua, tragica e assurda, come sono spesso le sue. Una rapina insensata, poi l'attesa passiva della fine, o di un'improbabile salvezza. Siamo negli anni Trenta tra Francia e Belgio. No: siamo dentro una parte di ciascuno di noi, sempre e ovunque.
Il pensionante - Georges Simenon - trad. Laura Frausin Guarino - 1934 - Adelphi 2015
Con particolari apparentemente insignificanti come questo, Simenon crea con pochi tocchi un'atmosfera, un contrasto che dà il la a una storia ambigua, tragica e assurda, come sono spesso le sue. Una rapina insensata, poi l'attesa passiva della fine, o di un'improbabile salvezza. Siamo negli anni Trenta tra Francia e Belgio. No: siamo dentro una parte di ciascuno di noi, sempre e ovunque.
Il pensionante - Georges Simenon - trad. Laura Frausin Guarino - 1934 - Adelphi 2015
"Non hai mai visto un paralitico?" m'interruppe lui, con un tono di voce insopportabile.
E' un libro scomodo, antipatico, che non compiace il lettore. Un libro in certi momenti, appunto, insopportabile. L'incontro fra uno scrittore di cattivo umore e un paralitico (sì, usiamola anche noi questa parola: Vichi la usa, perché sa che non è preferendole parole più neutre che si possa attenuare la drammaticità di una condizione) che si attraggono e si detestano, si scansano e si frequentano. In mezzo c'è una donna, bellissima, che piace a entrambi. Non si esce sollevati, dalla lettura di questo breve romanzo. Forse amareggiati. Ma di un'amarezza vera, di quelle che fanno bene, che ci fanno aprire gli occhi e sentire la vita più in profondità.
La sfida - Marco Vichi - Guanda 2014
E' un libro scomodo, antipatico, che non compiace il lettore. Un libro in certi momenti, appunto, insopportabile. L'incontro fra uno scrittore di cattivo umore e un paralitico (sì, usiamola anche noi questa parola: Vichi la usa, perché sa che non è preferendole parole più neutre che si possa attenuare la drammaticità di una condizione) che si attraggono e si detestano, si scansano e si frequentano. In mezzo c'è una donna, bellissima, che piace a entrambi. Non si esce sollevati, dalla lettura di questo breve romanzo. Forse amareggiati. Ma di un'amarezza vera, di quelle che fanno bene, che ci fanno aprire gli occhi e sentire la vita più in profondità.
La sfida - Marco Vichi - Guanda 2014
Caro Bosie, dopo lunga e infruttuosa attesa ho deciso di scriverti io stesso, per il tuo bene quanto per il mio, perché non mi piacerebbe pensare di essere passato attraverso due lunghi anni di prigionia senza aver mai ricevuto un solo rigo da te, o qualsiasi notizia o almeno un messaggio, salvo quelli che mi diedero dolore.
Oscar Wilde, dallo sprofondo in cui è precipitato (condanna a due anni di carcere per omosessualità, fallimento economico, divorzio dalla moglie, allontanamento perpetuo dai figli) scrive al giovane amante che è stato in qualche modo causa di tutto ciò, e che poi è come svanito nel nulla. Con uno stile sublime, anche se non esente da autocompiacimento, il grande scrittore irlandese ricostruisce nello spirito più che nei fatti la vicenda, per poi passare, nella seconda parte, a esprimere la nuova filosofia di vita a cui sente di essere approdato, una sorta di personale cristianesimo che lo porta a considerare il dolore, fino ad allora scansato con ogni mezzo dalla propria vita, l'unico mezzo capace di far raggiungere all'uomo la vera felicità. C'è qualcosa di troppo sottolineato e qualcosa di troppo taciuto in questo testo, come anche altre volte capita nelle opere di Wilde. Ciò non toglie che resti una lettura di quelle che segnano, e che non si dimenticano.
De profundis - Oscar Wilde - trad. Mimi Oliva Lentati - 1905 - Barbera 2006
Oscar Wilde, dallo sprofondo in cui è precipitato (condanna a due anni di carcere per omosessualità, fallimento economico, divorzio dalla moglie, allontanamento perpetuo dai figli) scrive al giovane amante che è stato in qualche modo causa di tutto ciò, e che poi è come svanito nel nulla. Con uno stile sublime, anche se non esente da autocompiacimento, il grande scrittore irlandese ricostruisce nello spirito più che nei fatti la vicenda, per poi passare, nella seconda parte, a esprimere la nuova filosofia di vita a cui sente di essere approdato, una sorta di personale cristianesimo che lo porta a considerare il dolore, fino ad allora scansato con ogni mezzo dalla propria vita, l'unico mezzo capace di far raggiungere all'uomo la vera felicità. C'è qualcosa di troppo sottolineato e qualcosa di troppo taciuto in questo testo, come anche altre volte capita nelle opere di Wilde. Ciò non toglie che resti una lettura di quelle che segnano, e che non si dimenticano.
De profundis - Oscar Wilde - trad. Mimi Oliva Lentati - 1905 - Barbera 2006
Il boulevard Sebastopole, il giorno dopo il Quattordici Luglio, è ancora animato. Le nove e mezzo di sera. Le lampade ad arco, d'un bianco crudo tra le file degli alberi, ritagliano alcune ombre o si perdono tra il fogliame.
Parigi, inizio '900. Berte si innamora di Maurice detto Bubù, lui a suo modo si innamora di lei. Vengono tutti e due da famiglie molto povere. Lei diventa prostituta, lui suo protettore. Presto arriveranno le botte, la sifilide, l'ospedale, il carcere. Pur descrivendo un mondo di bassifondi che avrebbe potuto interessare a Zola, non c'è qui il distacco da entomologo del grande naturalista. Charles-Louis Philippe era uno scrittore nato povero e cercava uno stile antiretorico ma partecipato che gli consentisse di esprimere cosa si muoveva nel cuore dei suoi disgraziati protagonisti. Anche se in alcuni tratti risulta un po' datato, la scommessa è vinta. Non c'è giudizio morale, ma solo immensa comprensione di povere anime che si dibattono in un mondo troppo stretto per loro. Questo libro folgorò il giovane Pratolini, che volle a ogni costo tradurlo in italiano. I primi libri dello scrittore fiorentino sono impastati con gli stessi ingredienti. Soltanto la mano è diversa: più fine e più capace di esprimere le infinite sfumature dell'animo umano.
Bubù di Montparnasse - Charles-Louis Philippe - trad. Piero Bianconi - 1901 - Bur 2002
Parigi, inizio '900. Berte si innamora di Maurice detto Bubù, lui a suo modo si innamora di lei. Vengono tutti e due da famiglie molto povere. Lei diventa prostituta, lui suo protettore. Presto arriveranno le botte, la sifilide, l'ospedale, il carcere. Pur descrivendo un mondo di bassifondi che avrebbe potuto interessare a Zola, non c'è qui il distacco da entomologo del grande naturalista. Charles-Louis Philippe era uno scrittore nato povero e cercava uno stile antiretorico ma partecipato che gli consentisse di esprimere cosa si muoveva nel cuore dei suoi disgraziati protagonisti. Anche se in alcuni tratti risulta un po' datato, la scommessa è vinta. Non c'è giudizio morale, ma solo immensa comprensione di povere anime che si dibattono in un mondo troppo stretto per loro. Questo libro folgorò il giovane Pratolini, che volle a ogni costo tradurlo in italiano. I primi libri dello scrittore fiorentino sono impastati con gli stessi ingredienti. Soltanto la mano è diversa: più fine e più capace di esprimere le infinite sfumature dell'animo umano.
Bubù di Montparnasse - Charles-Louis Philippe - trad. Piero Bianconi - 1901 - Bur 2002
Quando parlai con lei la prima volta mi sarebbe piaciuto vedere il suo viso, e fui in imbarazzo che non mi concedesse la possibilità di farlo.
E' la storia del lento avvicinamento a un oggetto d'amore sconosciuto. Come sono un po' tutti gli oggetti del nostro amore, visto che l'amore è forse un lento e faticoso e assoluto processo di conoscenza di qualcuno di diverso da sé, un processo che non ha mai fine, se non con la fine dell'amore. L'io narrante è una scrittrice ungherese, l'oggetto del suo amore è una donna più anziana di lei, che la aiuta nelle faccende di casa e che piano piano rivelerà una personalità anomala, scomoda, cristiana fin nel midollo, capace di intendere gli animali come una moderna francescana, per nulla incline ai compromessi, che siano con altri esseri umani o con istituzioni politiche o confessionali. Un libro che trasporta in zone del cuore che abitualmente sorvoliamo. Se le prime pagine vi catturano, non lo mollerete più fino alla fine.
La porta - Magda Szabò - trad. Bruno Ventavoli - 1987 - Einaudi 2014
E' la storia del lento avvicinamento a un oggetto d'amore sconosciuto. Come sono un po' tutti gli oggetti del nostro amore, visto che l'amore è forse un lento e faticoso e assoluto processo di conoscenza di qualcuno di diverso da sé, un processo che non ha mai fine, se non con la fine dell'amore. L'io narrante è una scrittrice ungherese, l'oggetto del suo amore è una donna più anziana di lei, che la aiuta nelle faccende di casa e che piano piano rivelerà una personalità anomala, scomoda, cristiana fin nel midollo, capace di intendere gli animali come una moderna francescana, per nulla incline ai compromessi, che siano con altri esseri umani o con istituzioni politiche o confessionali. Un libro che trasporta in zone del cuore che abitualmente sorvoliamo. Se le prime pagine vi catturano, non lo mollerete più fino alla fine.
La porta - Magda Szabò - trad. Bruno Ventavoli - 1987 - Einaudi 2014
La storia non ancora così nota della decrittazione da parte degli inglesi dell'inaccessibile codice militare tedesco Enigma, e della contestuale invenzione della macchina madre di tutti i computer da parte del matematico Alan Turing, ben interpretato da Benedict Cumberbatch, che alla fine cadrà in disgrazia perché perseguitato dall'ipocrita legge britannica per la propria omosessualità. Filmone buono per tutti i palati, ottimo per nessuno. Poco riuscita la fusione delle due linee guida (il dramma dell'omosessualità nascosta e quello di riuscire a fermare in qualche modo l'invisibile ma orribilmente presente mattatoio della guerra), con una Keira Knigthley che ce la mette tutta a calarsi nella parte della studiosa emancipanda anni '40, ma, appunto, si vede che... che la sta mettendo tutta. Soprattutto, troppo scontate e piene di cliché la sceneggiatura e la regia: mai un brivido di novità, di sorpresa: pare di stare assistendo a un saggio televisivo di fine corso sui vecchi film inglesi di una volta. Echi di "Attimo fuggente" e di "Momenti di Gloria", che a loro volta erano già echi di qualcos'altro. Ci mancherebbe, nulla di tremendo. Ma il Cinema è proprio un'altra cosa.
The Imitation Game - scneggiatura Graham Moore tratta dalla biografia di Alan Turing scritta da Andrew Hodges - Regia Morten Tyldum - Con Benedict Cumberbatch, Keira Knightley - USA-UK 2014
The Imitation Game - scneggiatura Graham Moore tratta dalla biografia di Alan Turing scritta da Andrew Hodges - Regia Morten Tyldum - Con Benedict Cumberbatch, Keira Knightley - USA-UK 2014
Forse questo film non doveva uscire dagli USA. O forse sì, per farci capire meglio in che mani siamo. Clint Eastwood gira da maestro un film che non andava girato. O meglio, che non andava girato così. Due ore di scene di battaglia da manuale, esaltazione dell'eroe americano senza macchia e senza paura, tanto più eroe quanti più nemici ammazza con la sua mira infallibile. Neanche un mezzo pensiero, o un mezzo personaggio, che si ponga una domanda sul ruolo dell'America nel mondo dopo l'11 settembre, sul commercio delle armi, sul perché di certe guerre. In confronto i bellicisti e adrenalinici film della Bigelow rasentano Bergman. Non parliamo dei classici, "Cacciatore" e "Apocalypse" su tutti. Ma no, è un film sull'ossessione, mi si dice: vista da dentro, l'ossessione di un combattente cieco. Magari. Leggetevi le interviste di Eastwood: per lui i buoni sono i buoni, cioè gli americani, che hanno tutto il diritto di andare là dove sono andati a fare quel che hanno fatto. E chi ne ha ammazzati di più è il più bravo, il più eroe. Punto e BASTA. Ma è una storia vera, mi si dice. Il mondo è pieno di storie vere. Che non vanno girate. O almeno che non vanno girate così, con uno sguardo privo di sfumature e di risvolti, buono solo a farci pervenire due ore di guerra tecnicamente perfette, umanamente manchevoli.
American Sniper - sceneggiatura Jason Hall tratta dall'autobiografia di Chris Kyle - Regia Clint Eastwood - Con Bradley Cooper, Sienna MIller - USA 2014
American Sniper - sceneggiatura Jason Hall tratta dall'autobiografia di Chris Kyle - Regia Clint Eastwood - Con Bradley Cooper, Sienna MIller - USA 2014
E' una parabola sul matrimonio? (L'unico modo per farlo funzionare è fingere disperatamente di essere ciò che l'altro desidera che siamo.) E' una metafora di come il maschio occidentale vede la femmina? (Una psicopatica che, a scelta, ti fa accusare di un delitto che non hai commesso, o ti uccide proprio nel momento in cui, dopo anni e anni che le sbavavi dietro, ti si concede. Da cui le accuse della Maraini di "film misogeno".) No, è più semplicemente una sòla. Prendete un po' di film buoni del genere "giallo psicologico di coppia con cambio di identità" (tipo "Vertigo", o "Psycho"; to', sono entrambi di un certo Hitchcock... ma oggi tutto è citazione nell'arte... ma anche no, magari...), uniteli con un pizzico di solidi legal thriller ("Presunto innocente") meglio se con avvocato nero che difende cliente bianco ("Philadelphia"), aggiungete una spruzzata di classici sul potere distruttivo o rigenerativo dei media ("Quinto potere", "Insider"). Shakerate. Gettate via le parti buone (quasi tutto). Ecco, i residui rimasti sul fondo compongono "Gone Girl - L'amore bugiardo" (una volta per tutte, decidetevi: o lasciate il titolo originale, o ne scegliete uno italiano). In più metteteci un Ben Affleck sempre incerto se scegliere l'una o l'altra delle due epressioni di cui è dotato (ON/OFF), una regia estetizzante, una lunghezza eccessiva. Di buono resta solo il personaggio della sorella gemella del buon vecchio Ben: personaggio ben scritto e ben recitato. Un po' poco, per tutti gli squilli di tromba apparsi all'uscita del film.
Gone Girl - L'amore bugiardo - tratto dal romanzo omonimo di Gillian Flynn - sceneggiatura Gillian Flynn - Regia David Fincher - Con Ben Affleck, Rosamund Pike - USA 2014
Gone Girl - L'amore bugiardo - tratto dal romanzo omonimo di Gillian Flynn - sceneggiatura Gillian Flynn - Regia David Fincher - Con Ben Affleck, Rosamund Pike - USA 2014
Donnelly, l'allenatore di atletica, quel giorno mise fine più presto all'allenamento perché il padre di Henry Fuller era andato ad avvertire il figlio, lì al campo della scuola, che a casa era arrivato un telegramma da Washington nel quale si annunciava che il fratello di Henry era rimasto ucciso durante un'azione, in Germania.
Né Donnelly, l'allenatore di atletica, né Henry Fuller, né suo fratello morto in guerra in Germania c'entrano qualcosa con questo libro. Per dire che l'autore se la prende comoda, e per raccontarci la storia di 25 anni (dal 1945 in poi) nella vita dei tre fratelli Jordache, ci impiega più di 700 pagine. Ma non ci stanca mai. Perché è un bravo narratore, Irving Shaw. Certo Hemingway e soprattutto Faulkner è come se fossero passati quasi invano: qui si racconta con passo moderno, acuto, ma senza troppo addentrarsi in uno stile che quasi crei la propria trama (Hem) o nelle dissoluzioni dell'io di stampo joyciano (Faulk). Qui si racconta ciò che accade sul ponte della barca (uno dei fratelli in effetti diventerà skipper): i fantasmi lacerati dell'interiorità che stanno sottocoperta li si intravede da lontano solo di quando in quando. Ma, se lo si sa fare, tutto ciò non è comunque poca cosa. E Shaw lo sa fare. Vuole bene ai suoi personaggi, e riesce a traslarci questo suo affetto. Così alla fine, quando chiudiamo il libro, ci dispiace non poter sapere cosa hanno fatto (quelli rimasti in vita) dal 1970 a oggi.
Povero ricco - Irwin Shaw - trad. Attilio Veraldi - 1969 - Bompiani 1978
Né Donnelly, l'allenatore di atletica, né Henry Fuller, né suo fratello morto in guerra in Germania c'entrano qualcosa con questo libro. Per dire che l'autore se la prende comoda, e per raccontarci la storia di 25 anni (dal 1945 in poi) nella vita dei tre fratelli Jordache, ci impiega più di 700 pagine. Ma non ci stanca mai. Perché è un bravo narratore, Irving Shaw. Certo Hemingway e soprattutto Faulkner è come se fossero passati quasi invano: qui si racconta con passo moderno, acuto, ma senza troppo addentrarsi in uno stile che quasi crei la propria trama (Hem) o nelle dissoluzioni dell'io di stampo joyciano (Faulk). Qui si racconta ciò che accade sul ponte della barca (uno dei fratelli in effetti diventerà skipper): i fantasmi lacerati dell'interiorità che stanno sottocoperta li si intravede da lontano solo di quando in quando. Ma, se lo si sa fare, tutto ciò non è comunque poca cosa. E Shaw lo sa fare. Vuole bene ai suoi personaggi, e riesce a traslarci questo suo affetto. Così alla fine, quando chiudiamo il libro, ci dispiace non poter sapere cosa hanno fatto (quelli rimasti in vita) dal 1970 a oggi.
Povero ricco - Irwin Shaw - trad. Attilio Veraldi - 1969 - Bompiani 1978
Tornarono sulla coperta e bevvero dai bicchieri di carta. Poi bevvero il vino l'uno dalla bocca dell'altra; poi lui ne versò un poco sull'ombelico di lei e si chinò a leccarlo. Dopo un po', chiese timidamente: "Mi vuoi dentro di te?".
"Sì? Tanto? Continuamente?" La voce di Sally trasformava di nuovo tutto in domande.
"Non c'è nessuno qui attorno, siamo abbastanza nascosti."
"Sbrigati?"
Mentre si inginocchiava ai suoi piedi per sfilarle la parte inferiore del costume giallo a due pezzi, Jerry pensò, inaspettatamente, ai commessi delle calzolerie; da bambino lo preoccupavano molto queste persone che si guadagnavano da vivere inginocchiandosi e tirando piedi altrui e si chiedeva perché non si sentissero, almeno in apparenza, umiliati.
John Updike ha scritto moltissimo. Non tutto ciò che ha scritto mi piace ma, quando mi piace, mi piace moltissimo. Per quella sua capacità di parlare di sentimenti, di passioni, arrivando a toccarne il nocciolo senza perdere un grammo di leggerezza, mantenendo una visione e un tono di estrema precisione e allo stesso tempo di grande coinvolgimento. Mostrando quanto ciascuno di noi è piccolo, meschino, ma, in fondo, grande e insostituibile. Qui ci sono due coppie e un adulterio incrociato. Siamo nei primi anni '60 e l'America dei benestanti ha ancora uno sguardo chiaro, kennediano. Ma il procedere degli eventi porterà alla luce nelle loro vite grumi nerastri, gli stessi che presto sarebbero apparsi anche nel vivere sociale.
Sposami - John Updike - trad. Ettore Capriolo - 1976 - Rizzoli BUR 1980
"Sì? Tanto? Continuamente?" La voce di Sally trasformava di nuovo tutto in domande.
"Non c'è nessuno qui attorno, siamo abbastanza nascosti."
"Sbrigati?"
Mentre si inginocchiava ai suoi piedi per sfilarle la parte inferiore del costume giallo a due pezzi, Jerry pensò, inaspettatamente, ai commessi delle calzolerie; da bambino lo preoccupavano molto queste persone che si guadagnavano da vivere inginocchiandosi e tirando piedi altrui e si chiedeva perché non si sentissero, almeno in apparenza, umiliati.
John Updike ha scritto moltissimo. Non tutto ciò che ha scritto mi piace ma, quando mi piace, mi piace moltissimo. Per quella sua capacità di parlare di sentimenti, di passioni, arrivando a toccarne il nocciolo senza perdere un grammo di leggerezza, mantenendo una visione e un tono di estrema precisione e allo stesso tempo di grande coinvolgimento. Mostrando quanto ciascuno di noi è piccolo, meschino, ma, in fondo, grande e insostituibile. Qui ci sono due coppie e un adulterio incrociato. Siamo nei primi anni '60 e l'America dei benestanti ha ancora uno sguardo chiaro, kennediano. Ma il procedere degli eventi porterà alla luce nelle loro vite grumi nerastri, gli stessi che presto sarebbero apparsi anche nel vivere sociale.
Sposami - John Updike - trad. Ettore Capriolo - 1976 - Rizzoli BUR 1980
Sarebbe stata la più deliziosa delle sensazioni - ondeggiare come le cime dei giovani alberi quando soffia il vento, abbandonarsi come l'erba grigia di un campo bruciato dal sole si abbandona alle nuvole passeggere, cambiando costantemente colore, diventando in ogni momento qualcosa di nuovo; vivere nella vita e nella morte, vivere sempre, non farsi spaventare dalla vita, lasciarla scorrere nel proprio corpo, lasciare il sangue scorrere nelle vene, senza combattere, senza fare resistenza, danzare.
A volte basta un racconto, uno solo, per capire con chi si ha a che fare. Leggete 'L'uovo'. Sono dodici pagine. C'è dentro il mito americano del successo visto ai primordi, il baratro del fallimento, il modo in cui i figli vedono i padri, la vita che scivola via dalle dita mentre siamo impegnati a fare altro. Il tutto narrato con un occhio acuto e un'ironia di una modernità sconcertanti. Questa raccolta fu pubblicata per la prima volta 93 anni fa. Non ci si crede.
Il trionfo dell'uovo - Sherwood Anderson - trad. Daniele Suardi - 1921 - Piano B edizioni 2013
A volte basta un racconto, uno solo, per capire con chi si ha a che fare. Leggete 'L'uovo'. Sono dodici pagine. C'è dentro il mito americano del successo visto ai primordi, il baratro del fallimento, il modo in cui i figli vedono i padri, la vita che scivola via dalle dita mentre siamo impegnati a fare altro. Il tutto narrato con un occhio acuto e un'ironia di una modernità sconcertanti. Questa raccolta fu pubblicata per la prima volta 93 anni fa. Non ci si crede.
Il trionfo dell'uovo - Sherwood Anderson - trad. Daniele Suardi - 1921 - Piano B edizioni 2013
Sta cercando di trovare se stesso, pensava. Non è un fantoccio stupido, fatto di parole e di eleganza. C'è in lui una certa cosa segreta, che cerca di venir fuori. E' la cosa che io ho lasciato uccidere in me.
Uno dei più grandi scrittori di racconti del '900 americano. Maestro di Hemingway, Faulkner e molti altri. Una cittadina del Midwest alle soglie della modernità, i sogni di gloria e gli incubi dei suoi abitanti. Personaggi che si inseguono di storia in storia, un puzzle che si compone a poco a poco. Quando l'infinitamente piccolo diventa universale, grazie a una scrittura potente e leggera.
Racconti dell'Ohio - Sherwood Anderson - 1919 - Einaudi 1982
Uno dei più grandi scrittori di racconti del '900 americano. Maestro di Hemingway, Faulkner e molti altri. Una cittadina del Midwest alle soglie della modernità, i sogni di gloria e gli incubi dei suoi abitanti. Personaggi che si inseguono di storia in storia, un puzzle che si compone a poco a poco. Quando l'infinitamente piccolo diventa universale, grazie a una scrittura potente e leggera.
Racconti dell'Ohio - Sherwood Anderson - 1919 - Einaudi 1982
Il presente vince sempre. Esso è termine di paragone e guida nella ricerca della verità. L'azione che io compio, il pane che mangio, la persona che bacio, l'idea che elaboro, la realtà che per il fatto stesso di esistere rappresento, accadono nel tempo e nella storia, sono tempo e storia.
Ultimo capitolo della trilogia 'Una storia italiana'. Esce nel 1966, e da lì in poi Pratolini non pubblicherà altri romanzi. Ha 53 anni: lo aspettano 25 anni di 'silenzio'. E' un libro complesso, irrisolto, con alcune pagine straordinarie (ad esempio l'incontro con la quella che diventerà sua moglie), ma è come se la inimitabile chiarezza poetica di Pratolini si fosse oscurata, intorbidata. Il racconto della presa di coscienza di un intellettuale italiano fra il 1935 (quando si sente ancora fascista) e il 1945 (quando si sente profondamente comunista) è una materia talmente magmatica e sofferta che sembra sfuggire, per larghi tratti, alla riduzione in materiale narrativo. E' il commiato problematico - e per questo ammirevole e commovente - dalla letteratura di uno dei più grandi narratori del '900 italiano.
Allegoria e derisione - Vasco Pratolini - Mondadori 1966
Ultimo capitolo della trilogia 'Una storia italiana'. Esce nel 1966, e da lì in poi Pratolini non pubblicherà altri romanzi. Ha 53 anni: lo aspettano 25 anni di 'silenzio'. E' un libro complesso, irrisolto, con alcune pagine straordinarie (ad esempio l'incontro con la quella che diventerà sua moglie), ma è come se la inimitabile chiarezza poetica di Pratolini si fosse oscurata, intorbidata. Il racconto della presa di coscienza di un intellettuale italiano fra il 1935 (quando si sente ancora fascista) e il 1945 (quando si sente profondamente comunista) è una materia talmente magmatica e sofferta che sembra sfuggire, per larghi tratti, alla riduzione in materiale narrativo. E' il commiato problematico - e per questo ammirevole e commovente - dalla letteratura di uno dei più grandi narratori del '900 italiano.
Allegoria e derisione - Vasco Pratolini - Mondadori 1966
E c'è un'alba, simile a mille altre che hai visto nel corso della tua vita, con la luce che è grigia e lentamente si schiara, e si colora, e dapprima è celeste, non rosa, è poi rosa, quindi in un baleno, da dietro i poggi, sbuca il sole, e il cielo, investito da tanta luce, sembra scattare più in alto. Tutto quanto accade cotesto giorno non potrà mai trapassare dalla memoria. E' il giorno in cui, a nostra insaputa, la nostra vita si volta come si volta sul palmo il dorso della mano.
E' con questo libro che Pratolini passa da scrittore di Cronache a scrittore di Storie. 'Una storia italiana' si intitola la trilogia di cui Metello è il primo capitolo. Quando uscì, nel 1955, spaccò la critica. Pratolini fu accusato di aver perso la vera ispirazione, di mirare a un romanzo storico ormai anacronistico. Riletto oggi traspare forse un po' troppo l'intento didascalico (la creazione di una coscienza proletaria nell'Italia del 1902, che ancora per decenni sarebbe rimasta contadina). Ma resta la bella fusione fra mondo interiore dei protagonisti e contesto storico. Metello, la moglie Ersilia e l'impresario edile Badolati sono personaggi vivi. E la scrittura è agile, scattante, capace di tenere avvinti lettori di ogni età.
Metello - Vasco Pratolini - 1955 - Mondadori 1974
E' con questo libro che Pratolini passa da scrittore di Cronache a scrittore di Storie. 'Una storia italiana' si intitola la trilogia di cui Metello è il primo capitolo. Quando uscì, nel 1955, spaccò la critica. Pratolini fu accusato di aver perso la vera ispirazione, di mirare a un romanzo storico ormai anacronistico. Riletto oggi traspare forse un po' troppo l'intento didascalico (la creazione di una coscienza proletaria nell'Italia del 1902, che ancora per decenni sarebbe rimasta contadina). Ma resta la bella fusione fra mondo interiore dei protagonisti e contesto storico. Metello, la moglie Ersilia e l'impresario edile Badolati sono personaggi vivi. E la scrittura è agile, scattante, capace di tenere avvinti lettori di ogni età.
Metello - Vasco Pratolini - 1955 - Mondadori 1974
Quando la mamma morì tu avevi venticinque giorni, eri ormai lontano da lei, sul colle. I contadini che ti custodivano ti davano il latte di una mucca pezzata; ne ebbi anch'io una volta che venimmo a trovarti con la nonna. Era un latte denso, tepido, un po' acre, mi disgustò; il disgusto fu tale che lo ributtai sporcandomi il vestito: la nonna mi dette uno schiaffo.
Il libro intimo per antonomasia, nella produzione di Pratolini ma non solo. Scritto in poche settimane, subito dopo la morte del fratello, racconta con pudore ma ad occhi aperti il perdersi di una vita e il costituirsi di un affetto. Costruito su un triangolo di sentimenti fortissimi (quelli crescenti tra i fratelli, e quello dei fratelli verso la nonna) ha il potere, grazie alla delicata e sobria potenza della scrittura, di trasformare le parole in immagini interiori, di far diventare un'ordinaria e triste vicenda privata un paradigma di ciò che significa "voler bene". Anche nell'impossibilità, universale, di farlo fino in fondo.
Cronaca familiare - Vasco Pratolini - 1947 - Mondadori 1991
Il libro intimo per antonomasia, nella produzione di Pratolini ma non solo. Scritto in poche settimane, subito dopo la morte del fratello, racconta con pudore ma ad occhi aperti il perdersi di una vita e il costituirsi di un affetto. Costruito su un triangolo di sentimenti fortissimi (quelli crescenti tra i fratelli, e quello dei fratelli verso la nonna) ha il potere, grazie alla delicata e sobria potenza della scrittura, di trasformare le parole in immagini interiori, di far diventare un'ordinaria e triste vicenda privata un paradigma di ciò che significa "voler bene". Anche nell'impossibilità, universale, di farlo fino in fondo.
Cronaca familiare - Vasco Pratolini - 1947 - Mondadori 1991
Ha cantato il gallo del Nesi carbonaio, si è spenta la lanterna dell'Albergo Cervia. Il passaggio della vettura che riconduce i tranvieri del turno di notte ha fatto sussultare Oreste parrucchiere che dorme nella bottega di via dei Leoni, cinquanta metri da via del Corno.
Via del Corno: microcosmo, quinta teatrale in cui si svolgono le vite dei genitori putativi dei ragazzi del Quartiere. Qui siamo dieci anni prima, nel 1925-26, quando il fascismo si sta ancora consolidando, con strisciante protervia protetta dall'alto e colpi di coda squadristici. In via del Corno si soffre, si combatte, si smadonna, si tira la giornata, si fa l'amore, ci si odia, si fa pace. Pratolini mette in scena come un regista un pulviscolo di personaggi memorabili, che si danno il cambio di giorno in giorno, di stagione in stagione. Doveva essere il suo primo libro, è stato il sesto: poté scriverlo davvero solo dopo la fine di quel fascismo che lo pervade. E' il primo in cui lo scrittore non c'è: segue partecipe i destini dei suoi personaggi, ma non è più uno di loro, come lo era ancora nel Quartiere, e non solo perché lì c'era un io narrante e qui no. Per questo, secondo me, è un libro molto bello, ma non raggiunge le vette di intensità di quel primo romanzo.
Cronache di poveri amanti - Vasco Pratolini - 1947 - Rizzoli 2011 con prefazione di Walter Siti
Via del Corno: microcosmo, quinta teatrale in cui si svolgono le vite dei genitori putativi dei ragazzi del Quartiere. Qui siamo dieci anni prima, nel 1925-26, quando il fascismo si sta ancora consolidando, con strisciante protervia protetta dall'alto e colpi di coda squadristici. In via del Corno si soffre, si combatte, si smadonna, si tira la giornata, si fa l'amore, ci si odia, si fa pace. Pratolini mette in scena come un regista un pulviscolo di personaggi memorabili, che si danno il cambio di giorno in giorno, di stagione in stagione. Doveva essere il suo primo libro, è stato il sesto: poté scriverlo davvero solo dopo la fine di quel fascismo che lo pervade. E' il primo in cui lo scrittore non c'è: segue partecipe i destini dei suoi personaggi, ma non è più uno di loro, come lo era ancora nel Quartiere, e non solo perché lì c'era un io narrante e qui no. Per questo, secondo me, è un libro molto bello, ma non raggiunge le vette di intensità di quel primo romanzo.
Cronache di poveri amanti - Vasco Pratolini - 1947 - Rizzoli 2011 con prefazione di Walter Siti
Noi eravamo contenti del nostro Quartiere. Posto al limite del centro della città, il Quartiere si estendeva fino alle prime case della periferia, là dove cominciava la via Aretina, coi suoi orti e la sua strada ferrata, le prime case borghesi, e i villini.
Firenze, rione popolare di Santa Croce, anni '30. Un gruppo di adolescenti cerca la propria iniziazione alla vita in un contesto di povertà operaia o artigiana, incastonati in una città - e in una nazione - ormai conformisticamente allineate al fascismo. C'è chi si perde, chi si trova, chi lotta e continuerà a lottare. Un romanzo compatto, partecipato, attuale come sono attuali, sempre, i dolori e le gioie profondissimi del diventare adulti. Si cresce resistendo, scovando e difendendo fino in fondo la propria identità. Personale e collettiva. Un capolavoro.
Il Quartiere - Vasco Pratolini - 1944 - Rizzoli 2011 con prefazione di Goffredo Fofi
Firenze, rione popolare di Santa Croce, anni '30. Un gruppo di adolescenti cerca la propria iniziazione alla vita in un contesto di povertà operaia o artigiana, incastonati in una città - e in una nazione - ormai conformisticamente allineate al fascismo. C'è chi si perde, chi si trova, chi lotta e continuerà a lottare. Un romanzo compatto, partecipato, attuale come sono attuali, sempre, i dolori e le gioie profondissimi del diventare adulti. Si cresce resistendo, scovando e difendendo fino in fondo la propria identità. Personale e collettiva. Un capolavoro.
Il Quartiere - Vasco Pratolini - 1944 - Rizzoli 2011 con prefazione di Goffredo Fofi
Nella terrazza le donne avevano steso delle corde per appendere la biancheria. Accosto al muricciolo v'era il pollaio di Virginia, col tetto di lamiera e il graticcio di rete; sul parapetto la cassetta di terra ove Faliero coltivava i pomodori.
Il quadro è questo. Italia subito dopo la fine della guerra, convivenze forzate, arte di arrangiarsi. Lutti freschi, ferite aperte, politica e storia che spaccano in due la società. C'è un ragazzo cresciuto in fretta, e male. Una donna-bambina che se ne innamora perdutamente. Un percorso di crescita e forse di rinascita che fino all'ultima pagina non sapremo se andrà o meno a buon fine. Un romanzo cupo, fatto di pennellate spesse, di forti contrasti. Non perfetto. Ma coraggioso, e vivo ancora oggi.
Un eroe del nostro tempo - Vasco Pratolini - 1949 - Rizzoli 2013
Il quadro è questo. Italia subito dopo la fine della guerra, convivenze forzate, arte di arrangiarsi. Lutti freschi, ferite aperte, politica e storia che spaccano in due la società. C'è un ragazzo cresciuto in fretta, e male. Una donna-bambina che se ne innamora perdutamente. Un percorso di crescita e forse di rinascita che fino all'ultima pagina non sapremo se andrà o meno a buon fine. Un romanzo cupo, fatto di pennellate spesse, di forti contrasti. Non perfetto. Ma coraggioso, e vivo ancora oggi.
Un eroe del nostro tempo - Vasco Pratolini - 1949 - Rizzoli 2013
In una stanza d'affitto a forma di trapezio ed arredata senza gusto, uguale a molte altre ammobiliate a New York, con due ampie finestre che davano sulla facciata dell'edificio, lavorava un giovane seduto a un tavolo.
La traduzione - come si capisce anche dall'incipit - è un po' così. In copertina c'è addirittura uno strafalcione ortografico ("il romanzo di quattro cappelloni..."). Ma è un libro di una forza sorprendente. Anni '40, con la guerra a fare da spartiacque. Il fascino del jazz, il baratro della droga, l'amore dei vent'anni. Il tutto reso con una freschezza e un'intensità altissime. Un romanzo vivo e lacerato, a più di mezzo secolo dalla sua pubblicazione.
Aria chiusa - Evan Hunter - trad. Carla Verga - 1956 - Longanesi 1966
La traduzione - come si capisce anche dall'incipit - è un po' così. In copertina c'è addirittura uno strafalcione ortografico ("il romanzo di quattro cappelloni..."). Ma è un libro di una forza sorprendente. Anni '40, con la guerra a fare da spartiacque. Il fascino del jazz, il baratro della droga, l'amore dei vent'anni. Il tutto reso con una freschezza e un'intensità altissime. Un romanzo vivo e lacerato, a più di mezzo secolo dalla sua pubblicazione.
Aria chiusa - Evan Hunter - trad. Carla Verga - 1956 - Longanesi 1966
Quella sera erano già suonate le nove e nella sala del Teatro di Varietà non c'era quasi ancora nessuno.
Diciamo che ci siamo dimenticati la storia della letteratura. Che non sappiamo nulla del naturalismo, del verismo, dell'impressionismo. Diciamo che troviamo su una bancarella un libro dalla copertina desueta e in un'edizione così poco professionale - per i canoni odierni - da non riportare né il nome del traduttore né l'anno di uscita originale del libro. Cosa ci ritroviamo fra le mani? Un ritratto vivido e vitalissimo della Parigi di metà '800, con una folla di personaggi - nobili, giornalisti, borghesi, attorucoli, prostitute, lesbiche, servitori - descritti con tocchi rapidi, tutti ruotanti, anzi vorticanti come falene, intorno alla luce di Nanà, bomba del sesso, anzi dei sensi, che distrugge prima o poi tutto ciò che tocca, portando alla rovina ragazzi, uomini maturi, vecchi impenitenti, che quasi sempre ci rimettono il patrimonio, a volte la vita. Un narratore impressionante per la capacità di racchiudere in un numero in fondo limitato di pagine (300), una serie di quadri affollati e in movimento senza mai farci perdere il filo, un nome, o la direzione tragica verso cui va dirigendosi la storia. Mica male, questo Zola...
Nanà - Emile Zola - trad. U. Caimpenta - 1880 - Lucchi 1954
Diciamo che ci siamo dimenticati la storia della letteratura. Che non sappiamo nulla del naturalismo, del verismo, dell'impressionismo. Diciamo che troviamo su una bancarella un libro dalla copertina desueta e in un'edizione così poco professionale - per i canoni odierni - da non riportare né il nome del traduttore né l'anno di uscita originale del libro. Cosa ci ritroviamo fra le mani? Un ritratto vivido e vitalissimo della Parigi di metà '800, con una folla di personaggi - nobili, giornalisti, borghesi, attorucoli, prostitute, lesbiche, servitori - descritti con tocchi rapidi, tutti ruotanti, anzi vorticanti come falene, intorno alla luce di Nanà, bomba del sesso, anzi dei sensi, che distrugge prima o poi tutto ciò che tocca, portando alla rovina ragazzi, uomini maturi, vecchi impenitenti, che quasi sempre ci rimettono il patrimonio, a volte la vita. Un narratore impressionante per la capacità di racchiudere in un numero in fondo limitato di pagine (300), una serie di quadri affollati e in movimento senza mai farci perdere il filo, un nome, o la direzione tragica verso cui va dirigendosi la storia. Mica male, questo Zola...
Nanà - Emile Zola - trad. U. Caimpenta - 1880 - Lucchi 1954
Ernesto fece come voleva il suo amico; piegò a metà la persona, appoggiandola ai sacchi. L'uomo gli si fece addosso e gli alzò lentamente la camicetta, che il ragazzo aveva, o per civetteria inconsapevole o, più probabilmente, per il turbamento di cui si sentiva invaso, dimenticato di alzare. (Era l'ultima difesa, l'ultimo riparo fra lui e l'irreparabile). Tanto l'uomo che il ragazzo tremavano.
Storia di un iniziazione (alla vita, alla sessualità omo ed etero) nella Trieste di fine '800. Grazie a un linguaggio crudo e innocente depura da ogni morbosità una materia pericolosa per qualsiasi scrittore, facendoci arrivare al cuore la vibrazione creaturale che ognuno di noi ha provato almeno qualche volta nella propria esistenza.
Ernesto - Umberto Saba - Einaudi 1975
Storia di un iniziazione (alla vita, alla sessualità omo ed etero) nella Trieste di fine '800. Grazie a un linguaggio crudo e innocente depura da ogni morbosità una materia pericolosa per qualsiasi scrittore, facendoci arrivare al cuore la vibrazione creaturale che ognuno di noi ha provato almeno qualche volta nella propria esistenza.
Ernesto - Umberto Saba - Einaudi 1975
Non basta sprecare la propria vita per impedirle di passare. Anzi, così passa ancora più in fretta.
Cos'è che mi piace di Jonathan Franzen? La sua capacità di scavare, con gli strumenti della tradizione letteraria, vite normali per farne emergere le pieghe più nascoste. L'ambizione di scrivere lunghissimi romanzi familiari come se si fosse nell'800, convinto che attraverso quella lente si possa leggere meglio tutta la società. E cos'è che non mi piace di Jonathan Franzen? L'eccesso di controllo, di spiegazioni, di giustificazioni. Come se la storia che racconta non lo sorprendesse mai del tutto e non fosse abbastanza di per sé, come se la lingua attraverso cui ce la racconta non avesse mai uno scarto, uno scivolamento, un brivido. E, in questo romanzo in particolare, l'ossessione per la salvaguardia degli uccelli: tema che gli sta talmente a cuore da non essere riuscito a scioglierlo a sufficienza per impastarlo nella trama. Detto questo, i suoi personaggi risultano veri e descritti fino nel profondo, restano con noi come persone conosciute alla fine del libro, e questo è già un grande risultato.
Libertà - Jonathan Franzen - trad. Silvia Parcheschi - 2010 - Einaudi 2011
Cos'è che mi piace di Jonathan Franzen? La sua capacità di scavare, con gli strumenti della tradizione letteraria, vite normali per farne emergere le pieghe più nascoste. L'ambizione di scrivere lunghissimi romanzi familiari come se si fosse nell'800, convinto che attraverso quella lente si possa leggere meglio tutta la società. E cos'è che non mi piace di Jonathan Franzen? L'eccesso di controllo, di spiegazioni, di giustificazioni. Come se la storia che racconta non lo sorprendesse mai del tutto e non fosse abbastanza di per sé, come se la lingua attraverso cui ce la racconta non avesse mai uno scarto, uno scivolamento, un brivido. E, in questo romanzo in particolare, l'ossessione per la salvaguardia degli uccelli: tema che gli sta talmente a cuore da non essere riuscito a scioglierlo a sufficienza per impastarlo nella trama. Detto questo, i suoi personaggi risultano veri e descritti fino nel profondo, restano con noi come persone conosciute alla fine del libro, e questo è già un grande risultato.
Libertà - Jonathan Franzen - trad. Silvia Parcheschi - 2010 - Einaudi 2011
Nella mezza età c'è mistero, c'è mistificazione. Il massimo che riesca a cogliere di questo periodo è una specie di solitudine. Persino la bellezza del mondo visibile sembra sbriciolarsi, sì persino l'amore. Sento che c'è stato come un aborto, una svolta sbagliata, ma non so quando sia accaduto né ho speranza di scoprirlo.
Quel fascino ammaliante e un po' perverso che si prova leggendo un diario. La prosa spesso è incantevole, spesso elusiva. Meravigliose descrizioni della natura, sofferte analisi di contraddizioni esistenziali profonde e laceranti. A volte si ha l'impressione di un eccesso di narcisismo (scrivo per me stesso, ma anche perché so che un giorno mi si leggerà). Rimane la consapevolezza che la vita è difficile, molto difficile - con rari momenti di serenità e ancor più rari sprazzi di gioia pura - per tutti. Anche per uno scrittore di talento purissimo, riconosciuto in vita, con una bella famiglia, come era John Cheever.
Una specie di solitudine - John Cheever - trad. Adelaide Cioni - 1990 - Feltrinelli 2012
Quel fascino ammaliante e un po' perverso che si prova leggendo un diario. La prosa spesso è incantevole, spesso elusiva. Meravigliose descrizioni della natura, sofferte analisi di contraddizioni esistenziali profonde e laceranti. A volte si ha l'impressione di un eccesso di narcisismo (scrivo per me stesso, ma anche perché so che un giorno mi si leggerà). Rimane la consapevolezza che la vita è difficile, molto difficile - con rari momenti di serenità e ancor più rari sprazzi di gioia pura - per tutti. Anche per uno scrittore di talento purissimo, riconosciuto in vita, con una bella famiglia, come era John Cheever.
Una specie di solitudine - John Cheever - trad. Adelaide Cioni - 1990 - Feltrinelli 2012
Che cosa vuole un uomo solo quando ha bisogno di compagnia, quando ha bisogno di tutto? La sera inizia l'inquietudine forte. E' un po' che la sento mentre mi avvolge con tutte le sue forme. Così ho deciso di mescolarmi con i cercatori.
La scrittura di Sergio Nelli coglie l'inquietudine nel suo farsi. E coglie una città, Firenze, in alcuni degli aspetti meno visibili della sua essenza. Una storia d'amore vissuta sapendo che l'amore non redime, al massimo accompagna, consola, allieta segmenti del nostro cammino. Siamo punti nell'universo che ruotano intorno a un mistero che ogni tanto si palesa, facendoci sentire meno soli, per un po'.
Orbita clandestina - Sergio Nelli - Einaudi 2011
La scrittura di Sergio Nelli coglie l'inquietudine nel suo farsi. E coglie una città, Firenze, in alcuni degli aspetti meno visibili della sua essenza. Una storia d'amore vissuta sapendo che l'amore non redime, al massimo accompagna, consola, allieta segmenti del nostro cammino. Siamo punti nell'universo che ruotano intorno a un mistero che ogni tanto si palesa, facendoci sentire meno soli, per un po'.
Orbita clandestina - Sergio Nelli - Einaudi 2011
In cima alla scalinata, davanti alle porte chiuse del teatro, ho visto una sagoma che mi ricordava vagamente qualcuno, ma non riuscivo a capire chi. Era un uomo con un cappotto nero, reggeva come gli altri una candela, ed era circondato da diverse persone con cui parlava sottovoce. Al centro di quel cerchio dominava la folla, benché defilato attirava gli sguardi, dava l'impressione di essere importante, e per qualche strana ragione mi ha fatto pensare a un boss mafioso che partecipi, attorniato da guardie del corpo, al funerale di uno dei suoi uomini. Lo vedevo di scorcio; dal bavero rialzato del cappotto spuntava un pizzetto. Accanto a me, una donna che pure l'aveva notato si è rivolta alla vicina: "E' venuto Eduard, bene". L'uomo ha girato la testa, come se nonostante la distanza l'avesse sentita. La fiamma della candela ne ha scolpito i lineamenti.
Ho riconosciuto Limonov.
E' coinvolgente, ti racconta un mondo fatto di tanti mondi, entri contemporaneamente in due vite, quella raccontata e quella di chi te la racconta. Scrittura di alto livello. Un dubbio alla fine mi resta. Che l'autore abbia in qualche modo nobilitato una persona che lo avrebbe meritato fino a un certo punto. E che ne abbia romanzato la vita al solo fine di poter scrivere il romanzo che aveva in testa. Però leggerlo, anche per togliersi questo dubbio, vale senz'altro la pena.
Limonov - Emmanuel Carrère - trad. Francesco Bergamasco - 2011 - Adelphi 2012
Ho riconosciuto Limonov.
E' coinvolgente, ti racconta un mondo fatto di tanti mondi, entri contemporaneamente in due vite, quella raccontata e quella di chi te la racconta. Scrittura di alto livello. Un dubbio alla fine mi resta. Che l'autore abbia in qualche modo nobilitato una persona che lo avrebbe meritato fino a un certo punto. E che ne abbia romanzato la vita al solo fine di poter scrivere il romanzo che aveva in testa. Però leggerlo, anche per togliersi questo dubbio, vale senz'altro la pena.
Limonov - Emmanuel Carrère - trad. Francesco Bergamasco - 2011 - Adelphi 2012
Era curioso, il modo in cui si dicevano queste cose. Un tempo si scambiavano battute amare e cattive e fingevano, pronunciandole, di trovarle vagamente spassose, sincere, quasi cordiali. Adesso il tono fasullo di allora si è depositato sul fondo, insinuandosi negli interstizi di ogni sentimento acuto, perciò l'amarezza, sebbene identica, risulta stantia, formale, superflua.
"Uno più bello dell'altro" è una frase fatta, la Munro non la merita. Quindi dirò che leggendo i suoi racconti provo la stessa vertigine perplessa che mi prende osservando i disegni di Escher. In particolare quello che raffigura un torrione quadrato sulla cui sommità è costruita una scala. Partendo da un angolo (1), la scala sale (c'è un omino che la sta salendo). Si arriva all'angolo di 90° (2) e la scala continua a salire (altro omino che sale). Dopo il terzo angolo (3), la scala sale ancora (terzo omino che sale). Ultimo angolo (4): e il pezzo di scala che va a congiungersi all'angolo di partenza (1) sale anch'esso (quarto omino che sale). Quindi partendo da un punto si sale, si sale, si sale, si sale e... ci si ritrova al punto di partenza. Impossibile, ma questo è ciò che si vede. Così per i racconti della Munro. Ne leggi uno e pensi: bellissimo! Mentre leggi il secondo pensi: ma questo è più bello. Alla fine del terzo: questo li batte tutti. L'ultimo: senz'altro è il migliore. Poi provi a riaprire il primo e ti accorgi che è meglio dell'ultimo. Sei salito, salito, salito, e ti sei ritrovato al punto di partenza. Come in Escher. Impossibile. Forse proprio per questo così vero.
Il percorso dell'amore - Alice Munro - Trad. Susanna Basso e Silvia Pareschi - 1986 - Einaudi 2007
"Uno più bello dell'altro" è una frase fatta, la Munro non la merita. Quindi dirò che leggendo i suoi racconti provo la stessa vertigine perplessa che mi prende osservando i disegni di Escher. In particolare quello che raffigura un torrione quadrato sulla cui sommità è costruita una scala. Partendo da un angolo (1), la scala sale (c'è un omino che la sta salendo). Si arriva all'angolo di 90° (2) e la scala continua a salire (altro omino che sale). Dopo il terzo angolo (3), la scala sale ancora (terzo omino che sale). Ultimo angolo (4): e il pezzo di scala che va a congiungersi all'angolo di partenza (1) sale anch'esso (quarto omino che sale). Quindi partendo da un punto si sale, si sale, si sale, si sale e... ci si ritrova al punto di partenza. Impossibile, ma questo è ciò che si vede. Così per i racconti della Munro. Ne leggi uno e pensi: bellissimo! Mentre leggi il secondo pensi: ma questo è più bello. Alla fine del terzo: questo li batte tutti. L'ultimo: senz'altro è il migliore. Poi provi a riaprire il primo e ti accorgi che è meglio dell'ultimo. Sei salito, salito, salito, e ti sei ritrovato al punto di partenza. Come in Escher. Impossibile. Forse proprio per questo così vero.
Il percorso dell'amore - Alice Munro - Trad. Susanna Basso e Silvia Pareschi - 1986 - Einaudi 2007
Nella e Giovanni si conobbero la sera di Berlingaccio sulla pista da ballo delle Due Strade.
Comincia così, in minore, il romanzo più ambizioso, complesso e interessante di Vasco Pratolini: 'Lo scialo'. 1339 pagine ambientate a Firenze fra il 1910 e il 1930: guerra, ventata socialista, avvento del fascismo. Ci sono i contadini, gli operai, i piccoli borghesi, i ricchi. Le loro vite si incrociano, si intrecciano, si avviluppano su se stesse, si spezzano. Le illusioni svaniscono, emergono i limiti, i nodi inestricabili, le ingiustizie che non si rimediano. "Uno scialo di triti fatti" come dice Montale citato in esergo, "vano più che crudele". Ma sempre appassionante, come è appassionante la vita quando la si sente e la si sa raccontare da grande, grandissimo narratore quale Pratolini è.
Lo scialo - Vasco Pratolini - 1960 - Mondadori 1971
Comincia così, in minore, il romanzo più ambizioso, complesso e interessante di Vasco Pratolini: 'Lo scialo'. 1339 pagine ambientate a Firenze fra il 1910 e il 1930: guerra, ventata socialista, avvento del fascismo. Ci sono i contadini, gli operai, i piccoli borghesi, i ricchi. Le loro vite si incrociano, si intrecciano, si avviluppano su se stesse, si spezzano. Le illusioni svaniscono, emergono i limiti, i nodi inestricabili, le ingiustizie che non si rimediano. "Uno scialo di triti fatti" come dice Montale citato in esergo, "vano più che crudele". Ma sempre appassionante, come è appassionante la vita quando la si sente e la si sa raccontare da grande, grandissimo narratore quale Pratolini è.
Lo scialo - Vasco Pratolini - 1960 - Mondadori 1971
Era un uomo di quasi cinquant'anni, serio, stimato, rispettato, un uomo quasi importante. Era un bambino, era solo, era maltrattato, era umiliato, nessuno sapeva la sua pena nessuno al mondo anche se avesse saputo avrebbe avuto pietà di lui.
Dino Buzzati è il cantore delle ossessioni. Quella, logorante, di aspettare per una vita un nemico che non arriva mai, come fa Giovanni Drogo ne 'Il deserto dei Tartari'. O quella, lancinante, di voler possedere, di voler ricevere amore da qualcuno che si desidera, senza esserne a nostra volta desiderati più di tanto, come capita allo stimato architetto Antonio Dorigo in 'Un amore'. E' proprio in quel "più di tanto" che sta la pena. Fosse "per niente", il problema sarebbe risolto. Se i nemici davvero non ci fossero, si potrebbe abbandonare la fortezza. Ma i nemici, in lontananza, sembrano esserci. E Laide, la squillo ventenne di cui Dorigo si innamora, ogni tanto sembra tenerci a lui. In qualche misura. Sempre troppo poco. Fino a far sì che per lui esista solo quella piaga che non si chiude. Mai. Angosciante, avvincente.
Un amore - Dino Buzzati - Mondadori 1963
Dino Buzzati è il cantore delle ossessioni. Quella, logorante, di aspettare per una vita un nemico che non arriva mai, come fa Giovanni Drogo ne 'Il deserto dei Tartari'. O quella, lancinante, di voler possedere, di voler ricevere amore da qualcuno che si desidera, senza esserne a nostra volta desiderati più di tanto, come capita allo stimato architetto Antonio Dorigo in 'Un amore'. E' proprio in quel "più di tanto" che sta la pena. Fosse "per niente", il problema sarebbe risolto. Se i nemici davvero non ci fossero, si potrebbe abbandonare la fortezza. Ma i nemici, in lontananza, sembrano esserci. E Laide, la squillo ventenne di cui Dorigo si innamora, ogni tanto sembra tenerci a lui. In qualche misura. Sempre troppo poco. Fino a far sì che per lui esista solo quella piaga che non si chiude. Mai. Angosciante, avvincente.
Un amore - Dino Buzzati - Mondadori 1963
Un film A. Tratto da un libro B. Che parla di uno scrittore C. Che sta scrivendo un libro D. Tratto da una storia vera E. Da cui (da D tratto da E) è già stato tratto un film F. Ieri sera ho visto 'Capote'. Il film A. E' un bel film. Philip Seymour Hoffman ci ha vinto l'Oscar, meritato. Ma, come dire, avevo la sensazione che fra A e la realtà E ci fosse qualche filtro di troppo. Forse dipendeva dalle sedie, scomodissime (proiezione in piazza, gratuita, va detto). Forse no. E comunque: vale di più una sola pagina del Truman Capote scrittore che due ore di rappresentazione del Truman Capote che si atteggia a scrittore, sia che lo faccia lui stesso (al film era abbinata un'intervista anni '60), sia che lo faccia un grande attore come PSH. E questo è vero per tutti gli scrittori. Se sono veri scrittori.
Capote - sceneggiatura Dan Futterman - regia Bennett Miller - tratto dal libro Capote di Gerald Clarke - con Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener - USA 2005
Capote - sceneggiatura Dan Futterman - regia Bennett Miller - tratto dal libro Capote di Gerald Clarke - con Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener - USA 2005
La fotografia in bianco e nero è bella, la regia molto curata, la storia raccontata in modo accortamente rarefatto. Ma dopo un po' mi ha dato l'impressione di un'operazione costruita a tavolino, senza una vera urgenza narrativa. Manca lo scorrere del sangue nelle vene, manca la passione, sia pur nascosta sotto la neve. Bello da vedere, ma non mi ha lasciato un segno profondo.
Ida - sceneggiatura Rebecca Lenkiewicz, Pawel Pawlikowski - regia Pawel Pawlikowski - con Agata Trzebuchowska, Agata Kulesza - Polonia-Danimarca 2013
Ida - sceneggiatura Rebecca Lenkiewicz, Pawel Pawlikowski - regia Pawel Pawlikowski - con Agata Trzebuchowska, Agata Kulesza - Polonia-Danimarca 2013
Non l'ho mai considerata una città vera e propria, ma semmai un avamposto, l'ultimo o il primo a seconda della direzione in cui viaggiavamo: un agglomerato di capannoni e casupole e una strada centrale con il cinema, il itz, il oyal, la R rossa fulminata, e due ristoranti che servivano identici hamburger grigiastri ricoperti di salsa dall'aspetto fangoso, piselli in scatola acquosi e pallidi come occhi di pesce e patatine a fiammifero grondanti lardo. Ordina un uovo in camicia, diceva mia madre, così lo vedi dai bordi se è fresco.
La qualità di certi scrittori la si capisce anche da un paragrafo come questo, dove la descrizione si fa narrazione senza averne l'aria. Margaret Atwood è lì a dimostrare che le scrittrici canadesi di questi ultimi decenni (insieme a lei Alice Munro, Mavis Gallant) hanno qualcosa di sottile e forte che le rende universali, e ci permette di seguirle con passione qualsiasi storia ci raccontino. In questo caso quella di una giovane donna degli anni '70 che torna nel luogo isolato fra i laghi dove è cresciuta, alla ricerca del padre sparito nel nulla. Insieme al padre, troverà quella parte più segreta di sé che fino a quel momento le era sfuggita.
Tornare a galla - Margaret Atwood - trad. Fausta Libardi - 1972 - Baldini&Castoldi 2000
La qualità di certi scrittori la si capisce anche da un paragrafo come questo, dove la descrizione si fa narrazione senza averne l'aria. Margaret Atwood è lì a dimostrare che le scrittrici canadesi di questi ultimi decenni (insieme a lei Alice Munro, Mavis Gallant) hanno qualcosa di sottile e forte che le rende universali, e ci permette di seguirle con passione qualsiasi storia ci raccontino. In questo caso quella di una giovane donna degli anni '70 che torna nel luogo isolato fra i laghi dove è cresciuta, alla ricerca del padre sparito nel nulla. Insieme al padre, troverà quella parte più segreta di sé che fino a quel momento le era sfuggita.
Tornare a galla - Margaret Atwood - trad. Fausta Libardi - 1972 - Baldini&Castoldi 2000
C'era stato un tempo in cui ci tormentavamo con un eccesso di sincerità nell'ingenua speranza che questo potesse salvarci.
Un pianeta intelligente. Ma di un intelligenza misteriosa, con cui non si riesce a creare un contatto. Almeno secondo i canoni umani. Una stazione orbitante in cui accadono fenomeni inspiegabili. I desideri più nascosti che si materializzano. Un classico della fantascienza filosofica, uscito da più di mezzo secolo ma che è ancora capace di inquietare, di iniettarci il perturbante nel profondo. E di lasciarlo lì, senza troppe consolazioni.
Solaris - Stanislaw Lem - trad. Vera Verdiani - 1961 - Sellerio 2014
Un pianeta intelligente. Ma di un intelligenza misteriosa, con cui non si riesce a creare un contatto. Almeno secondo i canoni umani. Una stazione orbitante in cui accadono fenomeni inspiegabili. I desideri più nascosti che si materializzano. Un classico della fantascienza filosofica, uscito da più di mezzo secolo ma che è ancora capace di inquietare, di iniettarci il perturbante nel profondo. E di lasciarlo lì, senza troppe consolazioni.
Solaris - Stanislaw Lem - trad. Vera Verdiani - 1961 - Sellerio 2014
Un uomo e una donna andarono, un pomeriggio, a vedere un film. Era domenica ed era estate. Con loro c'erano una ragazzetta quattordicenne e due bambini sui sette anni.
A me piace la grana grossa della prosa di Natalia Ginzburg. Pare di guardare quelle foto in bianco e nero degli anni '70, quelle fatte utilizzando pellicole a 400 asa o più, quando i ragazzi di mezza Italia si sviluppavano e stampavano le fotografie da soli in camere oscure improvvisate in bagno. Storie semplici, dove la felicità si palesa di rado, dove prevale il disincanto. Ma ciò che mi rimane dentro è la sua prosa. Granulosa e proprio per questo incisiva. Una scrittrice che grazie a questo suo strumento linguistico poteva permettersi di scrivere romanzi senza mai ricorrere al romanzesco.
Famiglia - Natalia Ginzburg - Einaudi 1977
A me piace la grana grossa della prosa di Natalia Ginzburg. Pare di guardare quelle foto in bianco e nero degli anni '70, quelle fatte utilizzando pellicole a 400 asa o più, quando i ragazzi di mezza Italia si sviluppavano e stampavano le fotografie da soli in camere oscure improvvisate in bagno. Storie semplici, dove la felicità si palesa di rado, dove prevale il disincanto. Ma ciò che mi rimane dentro è la sua prosa. Granulosa e proprio per questo incisiva. Una scrittrice che grazie a questo suo strumento linguistico poteva permettersi di scrivere romanzi senza mai ricorrere al romanzesco.
Famiglia - Natalia Ginzburg - Einaudi 1977
Fuori sta piovendo, il sapore che ho in bocca è amaro, pure le foglie che si impastano lungo i bordi della strada sono amare, per forza.
Con l'aria di niente, Lorenzo Mercatanti ha scritto un libro bello, il suo primo (anche se suoi pezzi erano già usciti su riviste importanti). Con l'aria di niente perché apparentemente il libro racconta poco: un gruppo di amici che si ostina a giocare a calcio a 5 nonostante gli anni che passano, il lavoro mai soddisfacente e comunque sul filo della precarietà, qualche ricordo di università e servizio civile. E lo racconta così, come se parlasse d'altro, lasciando cadere sulla pagina dialoghi e dialoghi, qualche descrizione, qualche rara riflessione. Ma proprio qui sta la sua forza. In quei dialoghi rimangono impigliati brandelli di verità. Quelle descrizioni della pioggia, o delle riunioni sindacali dei rappresentanti di commercio, restano stagliate nella memoria. E ci sono personaggi che non ci lasciano, a libro chiuso: lo zio progressivamente sempre più "matto", la madre gattara dell'amico, il padre e la sua etica tutta pratese del lavoro. Sembra che tutto cada lì per caso, dietro invece c'è una struttura che contiene ed evidenzia. E soprattutto c'è un orecchio raffinato che coglie il parlato, quel parlato pratese, e lo rende senza eccedere in toscanismi, ma facendoci capire che siamo, e potremmo essere, solo lì, senza per questo perdere di universalità. Una narrazione orale che è più diffusa in Emilia che in Toscana (penso a Nori, o a Cornia), ma qui resa senza certi intellettualismi o forme manierate. Un bell'esordio.
Lorenzo Mercatanti - Il babbo avrebbe voluto dire ti amo - Italic pequod 2014
Con l'aria di niente, Lorenzo Mercatanti ha scritto un libro bello, il suo primo (anche se suoi pezzi erano già usciti su riviste importanti). Con l'aria di niente perché apparentemente il libro racconta poco: un gruppo di amici che si ostina a giocare a calcio a 5 nonostante gli anni che passano, il lavoro mai soddisfacente e comunque sul filo della precarietà, qualche ricordo di università e servizio civile. E lo racconta così, come se parlasse d'altro, lasciando cadere sulla pagina dialoghi e dialoghi, qualche descrizione, qualche rara riflessione. Ma proprio qui sta la sua forza. In quei dialoghi rimangono impigliati brandelli di verità. Quelle descrizioni della pioggia, o delle riunioni sindacali dei rappresentanti di commercio, restano stagliate nella memoria. E ci sono personaggi che non ci lasciano, a libro chiuso: lo zio progressivamente sempre più "matto", la madre gattara dell'amico, il padre e la sua etica tutta pratese del lavoro. Sembra che tutto cada lì per caso, dietro invece c'è una struttura che contiene ed evidenzia. E soprattutto c'è un orecchio raffinato che coglie il parlato, quel parlato pratese, e lo rende senza eccedere in toscanismi, ma facendoci capire che siamo, e potremmo essere, solo lì, senza per questo perdere di universalità. Una narrazione orale che è più diffusa in Emilia che in Toscana (penso a Nori, o a Cornia), ma qui resa senza certi intellettualismi o forme manierate. Un bell'esordio.
Lorenzo Mercatanti - Il babbo avrebbe voluto dire ti amo - Italic pequod 2014
Questo film di Charlie Kaufman (già sceneggiatore di 'Essere John Malkovich', 'Il ladro di orchidee', 'Se mi lasci ti cancello') non è per tutti. E' per chi ha adorato queste tre pellicole, per chi è rimasto affascinato dagli sdoppiamenti di identità, gli andirivieni temporali, i travasi continui fra immaginazione e realtà. E' per chi è convinto che l'immaginazione sia essa stessa una parte della realtà, e che una cosa che pensiamo ha, nella nostra mente, pari dignità e valore di una cosa che vediamo: la stanza che io vedo intorno a me in questo momento e la stanza in cui vorrei essere e che soltanto la mia mente vede sono, all'interno della mia mente, dei pari grado. 'Synecdoche, NY' mette in scena questi "pari grado". Philip Seymour Hoffman (grandioso, come tutti gli altri interpreti, ma lui sta sullo schermo dall'inizio alla fine e fa in modo che ciascuno degli spettatori diventi "lui") è un regista teatrale depresso, con i primi sintomi di una malattia mortale e una moglie che lo lascia portandogli via la figlia. Decide di investire la vincita di un premio nell'allestimento di uno spettacolo che teatralizzi la sua vita, via via che essa si svolge. Da qui in poi ogni cosa diventa la sua rappresentazione, con tanto di attori a rappresentare i personaggi reali, ma a sua volta la rappresentazione diventa oggetto di rappresentazione, in un gioco di specchi potenzialmente infinito. Ma solo potenzialmente, perché i nostri limiti biologici ed esistenziali pongono un naturale argine all'evoluzione di persone e personaggi. Riflessioni non nuove, sia in letteratura che al teatro che al cinema. Ma qui rese con un'umanità, una potenza visiva, un'ironia leggera e un'accettazione del dramma che colpiscono. Il film è del 2008, tirato fuori solo ora grazie alla morte di PSH. Se arriverete in fondo, uscirete dalla sala con un brivido.
Synecdoche, NY - scritto e diretto da Charlie Kaufman - Con Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener - USA 2008
Synecdoche, NY - scritto e diretto da Charlie Kaufman - Con Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener - USA 2008
Fa sempre piacere quando le persone che amiamo sottolineano i nostri difetti come un motivo in più per volerci bene.
'Vite che non sono la mia' di Emmanuel Carrère è un libro che affronta di petto l'impatto che la morte e la malattia hanno sulla nostra vita. L'autore si mette in gioco in prima persona, raccontando le sofferenze di altri senza nascondere le proprie debolezze, incertezze, anche il proprio essere inadeguato, all'interno però di un continuo sforzo di miglioramento. L'incipit, ambientato in Sri-Lanka al momento dello tsunami del 2004, è tremendo e molto coinvolgente. Nella parte centrale la tensione emotiva si placa, la scrittura si impantana un po' in questioni tecniche che Carrère a volte non riesce a trasformare del tutto in materia narrativa. Ma il finale, di nuovo, è commovente, bellissimo.
Vite che non sono la mia - Emmanuel Carrère - trad. Maurizia Balmelli -2009 - Einaudi 2014
'Vite che non sono la mia' di Emmanuel Carrère è un libro che affronta di petto l'impatto che la morte e la malattia hanno sulla nostra vita. L'autore si mette in gioco in prima persona, raccontando le sofferenze di altri senza nascondere le proprie debolezze, incertezze, anche il proprio essere inadeguato, all'interno però di un continuo sforzo di miglioramento. L'incipit, ambientato in Sri-Lanka al momento dello tsunami del 2004, è tremendo e molto coinvolgente. Nella parte centrale la tensione emotiva si placa, la scrittura si impantana un po' in questioni tecniche che Carrère a volte non riesce a trasformare del tutto in materia narrativa. Ma il finale, di nuovo, è commovente, bellissimo.
Vite che non sono la mia - Emmanuel Carrère - trad. Maurizia Balmelli -2009 - Einaudi 2014
Lo amava senza capirlo, e questa, forse, è la forma d'amore più nobile di tutte.
William T. Vollmann per me è lo scrittore più grande della mia generazione (quelli che sono intorno ai cinquanta). Per "scrittore più grande" intendo quello capace di inglobare la maggior quantità di vita nelle sue opere. Quello più ambizioso nella concezione e più umile nella stesura. Quello più attrezzato e disarmato allo stesso tempo. 'Europe Central' è un capolavoro, un romanzo fluviale fatto dell'incrocio di tanti fiumi. Restituisce la vita in Europa a cavallo della Seconda guerra mondiale come nessun documentario, o libro di Storia, o film, o precedente romanzo abbia mai potuto fare. Sono 1000 pagine, ci vuole un po'. Ma chi ama leggere, dovrebbe leggerlo.
Europe Central - William T. Vollmann - trad. Gianni Pannofino - 2005 - Mondadori 2010
William T. Vollmann per me è lo scrittore più grande della mia generazione (quelli che sono intorno ai cinquanta). Per "scrittore più grande" intendo quello capace di inglobare la maggior quantità di vita nelle sue opere. Quello più ambizioso nella concezione e più umile nella stesura. Quello più attrezzato e disarmato allo stesso tempo. 'Europe Central' è un capolavoro, un romanzo fluviale fatto dell'incrocio di tanti fiumi. Restituisce la vita in Europa a cavallo della Seconda guerra mondiale come nessun documentario, o libro di Storia, o film, o precedente romanzo abbia mai potuto fare. Sono 1000 pagine, ci vuole un po'. Ma chi ama leggere, dovrebbe leggerlo.
Europe Central - William T. Vollmann - trad. Gianni Pannofino - 2005 - Mondadori 2010
La grande anima russa, la cui fiamma si accendeva, or sono cent'anni, sulla terra, è stata, per gli uomini della sua generazione, la luce più pura che abbia illuminato la loro giovinezza.
Lo so, pare retorico e bolso. Ma poi non lo è. Si schiarisce, si semplifica. E Rolland ci racconta Tolstoj (un genio, va da sé) con la passione di un fratello minore che ha perso da poco la guida tanto amata.
Vita di Tolstoj - Romain Rolland - trad. Alfredo Polledro - 1911 - Sonzogno 1922
Lo so, pare retorico e bolso. Ma poi non lo è. Si schiarisce, si semplifica. E Rolland ci racconta Tolstoj (un genio, va da sé) con la passione di un fratello minore che ha perso da poco la guida tanto amata.
Vita di Tolstoj - Romain Rolland - trad. Alfredo Polledro - 1911 - Sonzogno 1922
Era un borghese fiorentino - di quella Firenze dai palazzi severi, dalle torri erette come lance, dalle colline morbide e asciutte, finemente cesellate in un cielo di violetta insieme con i fusi neri dei loro cipressetti e la fascia argentea degli oliveti fruscianti come flutti.
Michelangelo secondo Rolland: un combattente che espresse il proprio genio (scusate la ripetizione, ma è colpa di Rolland che scrive solo biografie di geni).
Vita di Michelangelo - Romain Rolland - trad. Oreste Del Buono - 1906 - Rizzoli 1952
Michelangelo secondo Rolland: un combattente che espresse il proprio genio (scusate la ripetizione, ma è colpa di Rolland che scrive solo biografie di geni).
Vita di Michelangelo - Romain Rolland - trad. Oreste Del Buono - 1906 - Rizzoli 1952
Era piccolo e tozzo, dal collo grosso e dall'ossatura atletica.
Un ritratto di Beethoven scritto con limpidezza classica da Romain Rolland, premio Nobel per la Letteratura nel 1915, oggi praticamente dimenticato. La fatica di vivere di un genio.
Vita di Beethoven - Romain Rolland - trad. Giulio Confalonieri - 1907 - Rizzoli 1949
Un ritratto di Beethoven scritto con limpidezza classica da Romain Rolland, premio Nobel per la Letteratura nel 1915, oggi praticamente dimenticato. La fatica di vivere di un genio.
Vita di Beethoven - Romain Rolland - trad. Giulio Confalonieri - 1907 - Rizzoli 1949
Le doleva il cuore; rifletté, mentre lui tornava a baciarla, che il cuore duole veramente, non per modo di dire, quando si prova un dolore; e che certe parole, davvero, colpiscono come un pugno dato sopra il cuore.
E' il mio momento-Pratolini, che ci volete fare. 'Le ragazze Sanfrediano' è giocoso, leggero. Ma qua e là infila schegge acuminate che poi non vanno più via.
Le ragazze di Sanfrediano - Vasco Pratolini - 1951 - Mondadori 1997
E' il mio momento-Pratolini, che ci volete fare. 'Le ragazze Sanfrediano' è giocoso, leggero. Ma qua e là infila schegge acuminate che poi non vanno più via.
Le ragazze di Sanfrediano - Vasco Pratolini - 1951 - Mondadori 1997
Nulla altro conta al mondo se non la forza di sopravvivere al proprio destino.
Una serie di prose e racconti del primo Pratolini, dove il lirismo prevale rispetto al romanzesco, sempre però tenuto a freno da una scrittura concreta, da uno sguardo vigile, aperto a cogliere anche nelle minime sfumature il passaggio della vita vera.
Diario sentimentale - Vasco Pratolini - 1956 - Rizzoli 2012
Una serie di prose e racconti del primo Pratolini, dove il lirismo prevale rispetto al romanzesco, sempre però tenuto a freno da una scrittura concreta, da uno sguardo vigile, aperto a cogliere anche nelle minime sfumature il passaggio della vita vera.
Diario sentimentale - Vasco Pratolini - 1956 - Rizzoli 2012
Caro cugino, mi dicono che parlarti aiuta.
Ho visto a Pistoia, al Piccolo Teatro Bolognini, la prima di questo monologo tratto dal racconto di Carlo D'Amicis, pubblicato da Manni. Efficace la regia di Renata Palminello, molto brava l'attrice Valentina Sperlì. Una donna che si lascia andare all'amore proprio quando sembra che l'amore non sia più possibile. Intrigante, emozionante.
Maledetto nei secoli dei secoli l'amore - di Carlo D'Amicis - regia Renata Palminello - con Valentina Sperlì - 2014
Ho visto a Pistoia, al Piccolo Teatro Bolognini, la prima di questo monologo tratto dal racconto di Carlo D'Amicis, pubblicato da Manni. Efficace la regia di Renata Palminello, molto brava l'attrice Valentina Sperlì. Una donna che si lascia andare all'amore proprio quando sembra che l'amore non sia più possibile. Intrigante, emozionante.
Maledetto nei secoli dei secoli l'amore - di Carlo D'Amicis - regia Renata Palminello - con Valentina Sperlì - 2014
Quando si soffre si diventa più lucidi, ma è una lucidità che rompe l'equilibrio della mente siccome toglie, dall'altra parte della bilancia, il peso dell'allegria.
Un ragazzo-operaio che si affaccia alla vita nella Firenze del dopoguerra. Scopre l'amore, la politica, il dolore più atroce. Un grande narratore che ci parla con una lingua per nulla invecchiata dopo più di cinquant'anni dalla pubblicazione.
La costanza della ragione - Vasco Pratolini - 1963 - Rizzoli 2013
Un ragazzo-operaio che si affaccia alla vita nella Firenze del dopoguerra. Scopre l'amore, la politica, il dolore più atroce. Un grande narratore che ci parla con una lingua per nulla invecchiata dopo più di cinquant'anni dalla pubblicazione.
La costanza della ragione - Vasco Pratolini - 1963 - Rizzoli 2013
Sono convinto che mio padre mi abbia guardato, fissato, che mi abbia visto una volta soltanto. In seguito, poté farne a meno, già sapendo com'ero.
Finché ci sarà anche un solo racconto di Alice Munro da leggere, o da rileggere, potremo tornare a casa pregustando una piccola grande dose di felicità.
Troppa felicità - Alice Munro - trad.Susanna Basso - 2009 - Einaudi 2013
Finché ci sarà anche un solo racconto di Alice Munro da leggere, o da rileggere, potremo tornare a casa pregustando una piccola grande dose di felicità.
Troppa felicità - Alice Munro - trad.Susanna Basso - 2009 - Einaudi 2013
Era una di quelle persone piene di incrinature ricomposte che vedevi solo da molto vicino.
Libro uscito in versione originale nel 1994. Tutti i racconti ruotano intorno alla cittadina canadese di Carstairs, dai tempi della fondazione (metà '800) al giorno d'oggi. Personaggi che echeggiano dall'una all'altra storia, un piccolo-grande mondo che si svela piano piano, e mai fino in fondo. Perché la vita è così, un mistero che non si risolve mai del tutto. Bellissimo.
Segreti svelati - Alice Munro - trad. Marina Premoli - 1994 - Einaudi 2008
Libro uscito in versione originale nel 1994. Tutti i racconti ruotano intorno alla cittadina canadese di Carstairs, dai tempi della fondazione (metà '800) al giorno d'oggi. Personaggi che echeggiano dall'una all'altra storia, un piccolo-grande mondo che si svela piano piano, e mai fino in fondo. Perché la vita è così, un mistero che non si risolve mai del tutto. Bellissimo.
Segreti svelati - Alice Munro - trad. Marina Premoli - 1994 - Einaudi 2008
A Parigi, Centre Pompidou.
Retrospettiva accurata su Henri Cartier-Bresson, uno dei più grandi fotografi del '900. Io vado letteralmente pazzo per le sue foto, non faccio testo. Mi fosse possibile ci tornerei un giorno sì e uno no. Le fotografie sono stampate secondo le tecniche in uso al momento in cui furono scattate, per renderne più storicizzata la visione. Il periodo surrealista, i grandi reportage, i ritratti. I filmati che lo mostrano in giro per Parigi a caccia di immagini: passeggia fingendo di essere lì per caso, con una piccola fotocamera tenuta dietro la schiena per non dare nell'occhio. Straordinaria.
Fino al 9 giugno 2014
Retrospettiva accurata su Henri Cartier-Bresson, uno dei più grandi fotografi del '900. Io vado letteralmente pazzo per le sue foto, non faccio testo. Mi fosse possibile ci tornerei un giorno sì e uno no. Le fotografie sono stampate secondo le tecniche in uso al momento in cui furono scattate, per renderne più storicizzata la visione. Il periodo surrealista, i grandi reportage, i ritratti. I filmati che lo mostrano in giro per Parigi a caccia di immagini: passeggia fingendo di essere lì per caso, con una piccola fotocamera tenuta dietro la schiena per non dare nell'occhio. Straordinaria.
Fino al 9 giugno 2014
A Firenze, Palazzo Strozzi.
Una mostra imperdibile su due artisti potenti, misteriosi, visionari. Carlo Falciani e Antonio Natali, i curatori, hanno dato vita a un percorso che, sala dopo sala, lascia senza fiato.
Fino al 20 luglio 2014
Una mostra imperdibile su due artisti potenti, misteriosi, visionari. Carlo Falciani e Antonio Natali, i curatori, hanno dato vita a un percorso che, sala dopo sala, lascia senza fiato.
Fino al 20 luglio 2014
Come ogni mattina, erano stati i merli a svegliarlo.
Comincia così la discesa all'inferno di Eddie Rico, "il ragioniere", sottufficiale dell'"organizzazione" che se la passa bene in un angolo apparato della Florida. Figlio di italiani, cresciuto a Brooklyn insieme ai due fratelli all'epoca del proibizionismo, sarà costretto a fare i conti col lato più oscuro della vita, quello da cui non si torna indietro, anche se si sopravvive. O proprio perché si sopravvive. Una storia di gangster che trascende il genere, narrata in modo impeccabile. Coinvolgente.
I fratelli Rico - Georges Simenon - trad. Marina Di Leo - 1952 - Adelphi 2014
Comincia così la discesa all'inferno di Eddie Rico, "il ragioniere", sottufficiale dell'"organizzazione" che se la passa bene in un angolo apparato della Florida. Figlio di italiani, cresciuto a Brooklyn insieme ai due fratelli all'epoca del proibizionismo, sarà costretto a fare i conti col lato più oscuro della vita, quello da cui non si torna indietro, anche se si sopravvive. O proprio perché si sopravvive. Una storia di gangster che trascende il genere, narrata in modo impeccabile. Coinvolgente.
I fratelli Rico - Georges Simenon - trad. Marina Di Leo - 1952 - Adelphi 2014
Questo film di Edoardo Winspeare ha la scansione controllata di un racconto nordeuropeo, è interpretato da personaggi sanguigni che gli infondono calore, circondati da un ambiente pieno di colori e profumi che è più di una cornice ma che non giunge mai a sovrastare l'essenza della storia. Una famiglia di donne fragili e fortissime che si scontrano con durezza fra di loro ma capiscono che solo facendo squadra potranno sopravvivere salvaguardando la propria identità. Molto bello.
In grazia di Dio - sceneggiatura Edoardo Winspeare, Alessandro Valenti, Anna Boccadamo - regia Edoardo Winspeare - con Barbara De Matteis, Laura Licchetta - Italia 2014
In grazia di Dio - sceneggiatura Edoardo Winspeare, Alessandro Valenti, Anna Boccadamo - regia Edoardo Winspeare - con Barbara De Matteis, Laura Licchetta - Italia 2014
La nostra infelicità raggiunge il livello massimo solo quando intravediamo, sufficientemente prossima, la possibilità pratica della felicità.
Confesso che dieci anni fa avevo mollato a metà questo romanzo. Mi sembrava a tesi, freddo, con le parti saggistiche giustapposte in modo rozzo alla narrazione. Bene, mi sbagliavo. L'unica cosa su cui concordo col me stesso di allora è che si tratta di un romanzo a tesi. Ma è uno dei pochissimi casi di romanzo a tesi che non risulta freddo, pre-costruito. E' la versione tragica (se escludiamo il fantascientifico finale) di 'Kamikaze d'Occidente': quanto sia impossibile, pericoloso e inutile vivere da individui atomizzati, dediti solo al consumo, al profitto, al sesso. Quanto sia inutile e pericoloso vivere senza amore, senza fraternità. Un libro profondo e necessario.
Le particelle elementari - Michel Houellebecq - trad. Sergio Claudio Perroni - 1998 - Bompiani 2002
Confesso che dieci anni fa avevo mollato a metà questo romanzo. Mi sembrava a tesi, freddo, con le parti saggistiche giustapposte in modo rozzo alla narrazione. Bene, mi sbagliavo. L'unica cosa su cui concordo col me stesso di allora è che si tratta di un romanzo a tesi. Ma è uno dei pochissimi casi di romanzo a tesi che non risulta freddo, pre-costruito. E' la versione tragica (se escludiamo il fantascientifico finale) di 'Kamikaze d'Occidente': quanto sia impossibile, pericoloso e inutile vivere da individui atomizzati, dediti solo al consumo, al profitto, al sesso. Quanto sia inutile e pericoloso vivere senza amore, senza fraternità. Un libro profondo e necessario.
Le particelle elementari - Michel Houellebecq - trad. Sergio Claudio Perroni - 1998 - Bompiani 2002
"Però sarò sudata e sporca" mi avverte Anita.
In 'Kamikaze d'Occidente' (uscito più di dieci anni fa) Tiziano Scarpa usa una scrittura forte e precisa per dirci - attraverso il racconto divertito e guascone di uno scrittore-gigolò - quanto sia difficile e pericoloso, nel nostro mondo tutto orientato all'individualità e al profitto, innamorarsi e legarsi a una singola persona rinunciando a tutte le altre. Riuscirci, però, è l'unico modo per non perdere se stessi.
Kamikaze d'Occidente - Tiziano Scarpa - Rizzoli 2003
In 'Kamikaze d'Occidente' (uscito più di dieci anni fa) Tiziano Scarpa usa una scrittura forte e precisa per dirci - attraverso il racconto divertito e guascone di uno scrittore-gigolò - quanto sia difficile e pericoloso, nel nostro mondo tutto orientato all'individualità e al profitto, innamorarsi e legarsi a una singola persona rinunciando a tutte le altre. Riuscirci, però, è l'unico modo per non perdere se stessi.
Kamikaze d'Occidente - Tiziano Scarpa - Rizzoli 2003
Davanti casa ho tanti alberi e un po' di terra invasa da fiori e ortiche che si fermano solo al piede dei muri.
Sergio Nelli ci racconta ne 'Il primo mondo' i fiori e le ortiche di cui è composta la nostra vita. Frammenti di dolcezza, di passione, di disgusto, espressi da tante persone che dicono "io", accomunate da una 'voce pensante' coraggiosa, dubbiosa, piena di implicita pietas. Eventi che ci colpiscono senza mai farsi comprendere fino in fondo. Sono epifanie interrotte le sue, una galleria di statue non finite, scabre, porose. Un po' come siamo tutti noi. E rispecchiarci in questa sua scrittura tersa e potente ci fa sentire meno soli.
Il primo mondo - Sergio Nelli - Gaffi 2014
Sergio Nelli ci racconta ne 'Il primo mondo' i fiori e le ortiche di cui è composta la nostra vita. Frammenti di dolcezza, di passione, di disgusto, espressi da tante persone che dicono "io", accomunate da una 'voce pensante' coraggiosa, dubbiosa, piena di implicita pietas. Eventi che ci colpiscono senza mai farsi comprendere fino in fondo. Sono epifanie interrotte le sue, una galleria di statue non finite, scabre, porose. Un po' come siamo tutti noi. E rispecchiarci in questa sua scrittura tersa e potente ci fa sentire meno soli.
Il primo mondo - Sergio Nelli - Gaffi 2014
Spossato dalla violenza del suo fervore, a un tratto ebbe l'anima invasa da una strana aridità.
E' il libro per chi si sente in balia delle proprie emozioni, incapace di dominarle anche se vede con chiarezza che lo stanno portando alla rovina. L'apparenza dickensiana (storia di un ragazzo orfano e storpio nell'Inghilterra di fine '800, oltre 600 pagine di lunghezza) inganna. La sensibilità e l'insofferenza per la morale corrente sono già novecentesche. Certo è lontano anni luce dalle sperimentazioni linguistiche e dalle profondità psicologiche di Virginia Woolf o di Joyce. Ma nel suo apparente stare in superficie illumina diversi angoli oscuri dell'esistenza. E poi avvince, diverte, commuove. Un grande narratore, Somerset Maughan.
Schiavo d'amore - W. Somerset Maughan - trad. Franco Salvatorelli - 1915 - Adelphi 2013
E' il libro per chi si sente in balia delle proprie emozioni, incapace di dominarle anche se vede con chiarezza che lo stanno portando alla rovina. L'apparenza dickensiana (storia di un ragazzo orfano e storpio nell'Inghilterra di fine '800, oltre 600 pagine di lunghezza) inganna. La sensibilità e l'insofferenza per la morale corrente sono già novecentesche. Certo è lontano anni luce dalle sperimentazioni linguistiche e dalle profondità psicologiche di Virginia Woolf o di Joyce. Ma nel suo apparente stare in superficie illumina diversi angoli oscuri dell'esistenza. E poi avvince, diverte, commuove. Un grande narratore, Somerset Maughan.
Schiavo d'amore - W. Somerset Maughan - trad. Franco Salvatorelli - 1915 - Adelphi 2013
E la mattina dopo quella notte tutti e due sapevamo che non ce ne sarebbe stata un'altra uguale.
Il passaggio all'"età del gesso" - quando i sogni e le personalità si solidificano alle soglie della prima maturità - di quattro amici israeliani, fra Haifa e Tel Aviv. Un libro delicato e ampio, che si prende il suo tempo per permetterci di conoscere e poi iniziare ad affezionarci ai personaggi, pieni di difetti ma con i pregi meravigliosi di ogni persona vera. L'addio alla giovinezza, l'amore che esalta e deprime, la morte che ottunde, la scrittura che, forse, può salvare. Alla fine il lettore si sente uno di loro, fortunato di aver potuto condividere quella loro ordinaria e straordinaria amicizia.
La simmetria dei desideri - Eshkol Nevo - trad. Ofra Bannet, Raffaella Scardi - 2008 - BEAT 2012
Il passaggio all'"età del gesso" - quando i sogni e le personalità si solidificano alle soglie della prima maturità - di quattro amici israeliani, fra Haifa e Tel Aviv. Un libro delicato e ampio, che si prende il suo tempo per permetterci di conoscere e poi iniziare ad affezionarci ai personaggi, pieni di difetti ma con i pregi meravigliosi di ogni persona vera. L'addio alla giovinezza, l'amore che esalta e deprime, la morte che ottunde, la scrittura che, forse, può salvare. Alla fine il lettore si sente uno di loro, fortunato di aver potuto condividere quella loro ordinaria e straordinaria amicizia.
La simmetria dei desideri - Eshkol Nevo - trad. Ofra Bannet, Raffaella Scardi - 2008 - BEAT 2012
Aveva quattro o cinque anni quando il mondo cominciò a vivere intorno a lui, quando prese coscienza di assistere a una scena reale, i cui protagonisti erano esseri umani che lui era capace di distinguere gli uni dagli altri, di situare nello spazio, in una cornice ben definita.
Di pochissimi scrittori amo tutti i libri. Simenon (extra-Maigret) è uno di questi. 'L'angioletto' (1964) è uno dei suoi ultimi romanzi. Ma non si sente: ha lo stesso respiro vitale di quelli scritti trent'anni prima.
L'angioletto - Georges Simenon - trad. Marina Di Leo - 1965 - Adelphi 2013
Di pochissimi scrittori amo tutti i libri. Simenon (extra-Maigret) è uno di questi. 'L'angioletto' (1964) è uno dei suoi ultimi romanzi. Ma non si sente: ha lo stesso respiro vitale di quelli scritti trent'anni prima.
L'angioletto - Georges Simenon - trad. Marina Di Leo - 1965 - Adelphi 2013
AGATA
Agata odia essere dimenticata. Sfortunatamente per lei dimenticarla è facilissimo, e per questo capita di vederla ridursi a mandare singolarmente a dozzine di persone diverse la stessa mail in cui racconta "cosa sta facendo questa pazza, pazza Agata".
Ogni tanto ci si imbatte in un libro che ha una struttura nuova, una scrittura fresca ma non furba, fatto di frammenti ciascuno dei quali si regge da solo ma che tutti insieme compongono un vero e proprio affresco di caratteri; un libro fornito in pari misura di comicità e di poesia, di prosa e di dialoghi che ti fulminano; un libro che ti mette di buonumore lasciandoti un sentore di malinconia; un libro che si può leggere dall'inizio alla fine o aprirlo a caso traendone misteriose massime da I-Ching; un libro che vorresti fosse stato più lungo perché quando provi piacere è dura rinunciarci, ma che forse così ha trovato la sua misura ideale. 'Personaggi precari' di Vanni Santoni è tutto questo. E in più è una molla che si ricarica e si fa attesa di nuovi libri dello stesso autore.
Personaggi precari - Vanni Santoni - Voland 2013
Agata odia essere dimenticata. Sfortunatamente per lei dimenticarla è facilissimo, e per questo capita di vederla ridursi a mandare singolarmente a dozzine di persone diverse la stessa mail in cui racconta "cosa sta facendo questa pazza, pazza Agata".
Ogni tanto ci si imbatte in un libro che ha una struttura nuova, una scrittura fresca ma non furba, fatto di frammenti ciascuno dei quali si regge da solo ma che tutti insieme compongono un vero e proprio affresco di caratteri; un libro fornito in pari misura di comicità e di poesia, di prosa e di dialoghi che ti fulminano; un libro che ti mette di buonumore lasciandoti un sentore di malinconia; un libro che si può leggere dall'inizio alla fine o aprirlo a caso traendone misteriose massime da I-Ching; un libro che vorresti fosse stato più lungo perché quando provi piacere è dura rinunciarci, ma che forse così ha trovato la sua misura ideale. 'Personaggi precari' di Vanni Santoni è tutto questo. E in più è una molla che si ricarica e si fa attesa di nuovi libri dello stesso autore.
Personaggi precari - Vanni Santoni - Voland 2013
Era un periodo in cui le cose erano sempre peggiori di quanto sembrassero.
Romanzo, uscito nel 1981, di un autore che aveva dato il suo meglio trent'anni prima. Eppure ne ho apprezzato la pazienza nel delineare i personaggi, la grande cura e naturalezza dei dialoghi, la capacità di tenermi avvinto per oltre quattrocento pagine senza dover costellare la trama di colpi di scena che suonino forzati. Shaw ci racconta quanto sia difficile rimanere se stessi quando si accetta senza protezioni il contatto col mondo, quando si viene in contatto con un ambiente sociale superiore al proprio, quando si è costretti a contare soltanto sulle proprie forze. Scrittura semplice ma accurata, funzionale alla storia.
L'amico di famiglia - Irwin Shaw - trad. Adriana Dell'Orto - 1981 - Bompiani 1986
Romanzo, uscito nel 1981, di un autore che aveva dato il suo meglio trent'anni prima. Eppure ne ho apprezzato la pazienza nel delineare i personaggi, la grande cura e naturalezza dei dialoghi, la capacità di tenermi avvinto per oltre quattrocento pagine senza dover costellare la trama di colpi di scena che suonino forzati. Shaw ci racconta quanto sia difficile rimanere se stessi quando si accetta senza protezioni il contatto col mondo, quando si viene in contatto con un ambiente sociale superiore al proprio, quando si è costretti a contare soltanto sulle proprie forze. Scrittura semplice ma accurata, funzionale alla storia.
L'amico di famiglia - Irwin Shaw - trad. Adriana Dell'Orto - 1981 - Bompiani 1986
"Sono tornato. Non è questo che conta? Apri questa porta, dai".
"Ti apro la testa, io" sbottò Milly.
La scrittura di Emiliano Gucci, nei suoi ultimi romanzi (in particolare in 'Nel vento', uscito nel 2013 per Feltrinelli), mi ricorda un cristallo di quarzo fumé: liscio, appuntito, perfetto da fuori; opaco, ambiguo, insondabile all'interno. Che cambia colore a seconda della luce che ha intorno. Che ogni volta ti svela nuovi segreti. Il Gucci di questi racconti è meno fumé, ci puoi quasi vedere attraverso. Si concede di più, senza perdere nulla dal punto di vista del livello della scrittura. Sono tutti belli. Due, bellissimi: 'Apri questa porta' (la resa dei conti di un amore finito troppi anni prima) e 'L'albero', dove una bambina conduce suo padre verso un'accettazione più serena del proprio destino.
Più del tuo mancarmi - Emiliano Gucci - Noripios 2013
"Ti apro la testa, io" sbottò Milly.
La scrittura di Emiliano Gucci, nei suoi ultimi romanzi (in particolare in 'Nel vento', uscito nel 2013 per Feltrinelli), mi ricorda un cristallo di quarzo fumé: liscio, appuntito, perfetto da fuori; opaco, ambiguo, insondabile all'interno. Che cambia colore a seconda della luce che ha intorno. Che ogni volta ti svela nuovi segreti. Il Gucci di questi racconti è meno fumé, ci puoi quasi vedere attraverso. Si concede di più, senza perdere nulla dal punto di vista del livello della scrittura. Sono tutti belli. Due, bellissimi: 'Apri questa porta' (la resa dei conti di un amore finito troppi anni prima) e 'L'albero', dove una bambina conduce suo padre verso un'accettazione più serena del proprio destino.
Più del tuo mancarmi - Emiliano Gucci - Noripios 2013
Da molto tempo aveva cessato di credere che fosse il maschio della specie a sentire il profondo bisogno, l'insaziabile spinta del sesso. Era giunto alla conclusione che fosse l'opposto. In ogni donna esisteva un vuoto e soltanto un uomo poteva riempirlo. E finché quel vuoto non era riempito, la donna rimaneva incompleta. Le donne avevano inventato il matrimonio per appropriarsi del completamento, per poi distruggere la loro stessa invenzione, avendo scoperto che l'appropriazione non era necessaria. Il vuoto poteva essere riempito, e il completamento avvenire, per opera di chiunque.
'Strangers when we meet' è il titolo originale di questo romanzo del 1958, scritto da Evan Hunter, alias Ed Mc Bain (creatore della serie poliziesca '87° distretto'), vero nome Salvatore M. Lombino. Hunter è un grande narratore. Qui affronta il tema dell'infedeltà coniugale nella middle-class americana (ma il tema è universale), della difficoltà quasi insormontabile di dar vita a matrimoni lunghi, sereni, sinceri. Menzogna o sfascio, questi sembrano essere i due poli magnetici da cui pare così difficile sfuggire. Larry Cole, il brillante architetto protagonista, ci prova fino alla fine... Mi ha ricordato 'Coppie' di John Updike, di dieci anni posteriore. Updike è più scrittore (più capace di creare un mondo, mentre Hunter lo descrive), ma questo romanzo si legge con grande partecipazione, fino in fondo.
Gli amanti - Evan Hunter - trad. Adriana Pellegrini - 1958 - Longanesi 1965
'Strangers when we meet' è il titolo originale di questo romanzo del 1958, scritto da Evan Hunter, alias Ed Mc Bain (creatore della serie poliziesca '87° distretto'), vero nome Salvatore M. Lombino. Hunter è un grande narratore. Qui affronta il tema dell'infedeltà coniugale nella middle-class americana (ma il tema è universale), della difficoltà quasi insormontabile di dar vita a matrimoni lunghi, sereni, sinceri. Menzogna o sfascio, questi sembrano essere i due poli magnetici da cui pare così difficile sfuggire. Larry Cole, il brillante architetto protagonista, ci prova fino alla fine... Mi ha ricordato 'Coppie' di John Updike, di dieci anni posteriore. Updike è più scrittore (più capace di creare un mondo, mentre Hunter lo descrive), ma questo romanzo si legge con grande partecipazione, fino in fondo.
Gli amanti - Evan Hunter - trad. Adriana Pellegrini - 1958 - Longanesi 1965
Un film in bianco e nero girato come se fosse a colori. Grandi spazi, grandi cieli. E alcuni grandi personaggi. Un padre che "crede a quello che gli viene detto" ("Un bel problema" commenta un personaggio di contorno). Un figlio che non riesce a disilluderlo fino in fondo. Una madre calda e bisbetica. Cugini viscidi e sfatti, zii imperscrutabili. Un'America che trasmette tristezza, riscattata dalla dolcezza di chi sa fermarsi a sentire, diventando così, per una volta, forte. Ritmo lento, quello di una lunga camminata senza fretta. Umorismo più sottile e nascosto rispetto ad altri film di Alexander Payne (Sideways, Paradiso amaro).
Nebraska - sceneggiatura Bob Nelson - regia Alexander Payne - con Bruce Dern, Will Forte - USA 2013
Nebraska - sceneggiatura Bob Nelson - regia Alexander Payne - con Bruce Dern, Will Forte - USA 2013
E' girato su toni smorzati, malinconici. Meno freddo di altri film dei Coen, racconta la fatica di riuscire a farsi ascoltare, quando sei bravo ma non così bravo, quando hai dentro di te una musica che di lì a poco qualcuno con una voce nasale e una forza poetica dirompente suonerà meglio di te, cambiandola per sempre. Quanto è difficile capire che ce la puoi anche non fare, senza per questo doverti limitare a esistere. E' una storia che ti prende col passo felpato del gatto con cui Davis a a che fare per gran parte del film.
A proposito di Davis - scritto e diretto da Joel e Ethan Coen - con Oscar Isaac, Carey Mulligan - USA 2013
A proposito di Davis - scritto e diretto da Joel e Ethan Coen - con Oscar Isaac, Carey Mulligan - USA 2013
Era vecchia, Mrs Fullerton, lo ammetteva lei stessa, più vecchia di quanto si sarebbe detto a giudicare dai capelli ancora neri e crespi, dal guardaroba vistoso e trasandato, dalle spille da quattro soldi che si appuntava sulla maglia lisa. Lo dicevano gli occhi, neri come prugne e smorti, privi di luce; le cose ci precipitavano dentro senza riuscire a cambiarli.
La grazia spietata, l'acume sottile, l'economia di mezzi, l'illuminazione improvvisa. Tutti i racconti di Alice Munro, anche i più terribili, sono una scoperta meravigliosa.
Danza delle ombre felici - Alice Munro - trad. Susanna Basso - 1968 - Einaudi 2013
La grazia spietata, l'acume sottile, l'economia di mezzi, l'illuminazione improvvisa. Tutti i racconti di Alice Munro, anche i più terribili, sono una scoperta meravigliosa.
Danza delle ombre felici - Alice Munro - trad. Susanna Basso - 1968 - Einaudi 2013
Mentire. Sono ancora capace di mentire? Sapendo che le menzogne non le scoprono solo quelli che se ne fregano di te. O che ti amano troppo.
Giuseppe Munforte ha la capacità di raccontare dall'interno vite di persone che apparentemente stanno ai margini del mondo, riuscendo a renderle con una forza tale da farci capire che ogni singola esistenza è il centro di un mondo. E che quel mondo, il mondo di "Cantico della galera", è sempre degno di essere vissuto, sofferto, goduto, narrato.
Cantico della galera - Giuseppe Munforte - Italic 2011
Giuseppe Munforte ha la capacità di raccontare dall'interno vite di persone che apparentemente stanno ai margini del mondo, riuscendo a renderle con una forza tale da farci capire che ogni singola esistenza è il centro di un mondo. E che quel mondo, il mondo di "Cantico della galera", è sempre degno di essere vissuto, sofferto, goduto, narrato.
Cantico della galera - Giuseppe Munforte - Italic 2011
All'inizio fu solo un nome.
"Storia d'amore in tempo di guerra" di Giorgio Van Straten è un libro nobile: mostra come sia possibile trovare la propria identità guardando dritta in faccia la vita, proprio quando ci pone davanti dilemmi apparentemente irrisolvibili. Scandaglia i sentimenti personali mettendoli a confronto con la forza distruttiva di un momento storico, e racconta come anche nelle più terribili temperie sia possibile trovare una via d'uscita a testa alta, anche a costo di sacrificare la parte più intima ed emotiva che c'è in noi. E in realtà non è un vero e proprio sacrificio perché quando cuore e ragione parlano la stessa lingua, finiscono per prendere decisioni all'unisono
Storia d'amore in tempo di guerra - Giorgio Van Straten - Mondadori 2014
"Storia d'amore in tempo di guerra" di Giorgio Van Straten è un libro nobile: mostra come sia possibile trovare la propria identità guardando dritta in faccia la vita, proprio quando ci pone davanti dilemmi apparentemente irrisolvibili. Scandaglia i sentimenti personali mettendoli a confronto con la forza distruttiva di un momento storico, e racconta come anche nelle più terribili temperie sia possibile trovare una via d'uscita a testa alta, anche a costo di sacrificare la parte più intima ed emotiva che c'è in noi. E in realtà non è un vero e proprio sacrificio perché quando cuore e ragione parlano la stessa lingua, finiscono per prendere decisioni all'unisono
Storia d'amore in tempo di guerra - Giorgio Van Straten - Mondadori 2014